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 Anno VII n° 4 APRILE 2011    -   FATTI & OPINIONI


Camera dei Deputati Seduta n. 452 di giovedì 24 marzo 2011
Comunicazioni del Governo sulla crisi libica: Benedetto Della Vedova, (FLI)


Signor Presidente, voglio ringraziare i Ministri Frattini e La Russa per le loro comunicazioni ma ciò detto, ritengo che la scelta del Presidente del Consiglio di non venire direttamente in Aula sia sbagliata e grave. Vedete, gli italiani possono conoscere per filo e per segno quale sia la posizione non solo del Governo ma del Primo Ministro britannico in persona, basta che vadano su Internet: sul sito del Parlamento inglese ci sono le parole che David Cameron ha pronunciato nell'Aula di Westminster parlando e dialogando con l'opposizione. Noi, per sapere cosa pensa, signor Ministro, direttamente non solo il Governo, ma il Presidente del Consiglio dobbiamo rifarci a qualche scampolo di conversazione telefonica trascritta sui giornali. Non so perché questo avvenga, signor Ministro, signor Presidente, non so se la ragione di questa assenza sia la difficoltà a spiegare quello che è successo negli ultimi mesi o sia qualche machiavellica pensata sul fatto che il silenzio di oggi possa dare spazio a mediazioni future.

Io credo che oggi la politica dell'assenza sia una politica sbagliata, una politica vecchia, anche perché questo è il momento in cui guardandoci negli occhi dobbiamo tutti cercare un'unità di intenti nell'interesse della Repubblica, e dobbiamo farlo senza reticenze e senza pregiudizi. Quello che accade in Libia è legato a quanto sta accadendo in tutto il Mediterraneo meridionale. Dall'Egitto al Marocco vivono 160 milioni di donne e uomini che hanno un'età media inferiore ai 25 anni. Se vogliamo che l'immigrazione dalla sponda sud a quella nord del Mediterraneo sia governabile e governata seriamente innanzitutto dobbiamo smettere di fare speculazione politica sui corpi di quegli uomini, di quelle donne, di quei bambini che partono dalla disperazione, che lasciano la guerra, e che arrivano certo creando una situazione drammatica per una piccola isola come Lampedusa. Cinquemila sfollati sono un dramma per Lampedusa, non possono diventare un dramma per un grande Paese come l'Italia. Dobbiamo scommettere sull'evoluzione politica di quei Paesi anche avendo in mente il governo dell'immigrazione, e non dobbiamo farlo per idealismo, ma per un consapevole realismo.

È una popolazione giovane, sempre più istruita, informata, impaziente, che non si rassegna alla schiavitù politica ed alla marginalità sociale. L'occidente e l'Europa grazie ai media di massa, alla TV satellitare, a Internet e ai telefonini, hanno insegnato anche a questi giovani il gusto della libertà ed essi non vi rinunceranno. Nessuno può essere così ingenuo da pensare che queste rivoluzioni siano un'ampia e sicura porta di accesso alla democrazia e alla libertà. Dipenderà anche da noi se quelle speranze in un modello vicino al nostro saranno realizzate oppure no, ma questi giovani sono la classe dirigente del futuro di quei Paesi a noi confinanti e con loro dovremo dialogare. Quando la bandiera francese è sventolata a Bengasi abbiamo capito che non era un'operazione vista come un'operazione neocoloniale. Qualcuno ha storto il naso perché c'era la bandiera francese, e ha detto: chissà cosa ci sarà dietro. Io mi sono rammaricato perché non sventolava il tricolore italiano su quei pennoni a Bengasi (Applausi dei deputati del gruppo Futuro e Libertà per l'Italia), e spero che presto i rivoltosi della Libia possano sventolare anche la bandiera italiana.

Il nostro futuro per quel che riguarda la sicurezza, anche contro il terrorismo, dipende da quello che succederà in quei Paesi. La nostra sicurezza, anche per quanto riguarda gli interessi economici, la nostra sicurezza anche per quanto riguarda il petrolio dipende dall'evoluzione politica libera di quei Paesi. Non dobbiamo più avere tiranni amici e se ancora ci saranno tiranni a governare quei Paesi saranno i nemici del loro popolo e dovranno essere anche i nostri nemici. La risoluzione dell'ONU ha autorizzato l'uso della forza per impedire l'annientamento militare e fisico di chi si ribellava a Gheddafi. Per questo non è un'ipocrisia riconoscerne il carattere umanitario, sapendo che è una missione militare, che speriamo venga ricondotta ad un unico comando alla NATO, e rispetto alla quale temiamo che ci possano essere invece divisioni.

L'assenza dell'Europa spaventa. Abbiamo di nuovo fallito come europei. Dobbiamo lamentarcene, ma soprattutto dobbiamo tutti quanti occuparcene perché possibilmente venga il giorno in cui nelle crisi internazionali ci sia l'Unione europea con forza e credibilità. Sarebbe stata una vergogna se Gheddafi fosse entrato a Bengasi. È bene che qualcuno sia partito, può dispiacerci che sia partito prima, può dispiacerci che non ci abbia informato, ma ha fatto la cosa giusta: ha fermato il massacro dei libici. Si dice che Gheddafi non è l'unico dittatore. È vero, è una cosa giusta, ma questo non può diventare un alibi per impedire di intervenire laddove ci sono i nostri, interessi laddove noi siano stati amici. Fermiamo Gheddafi, faremo l'interesse dei giovani libici, faremo anche l'interesse dell'Italia e l'interesse economico futuro dell'Italia e delle aziende che lì lavorano. Si dice: ma lì c'è il petrolio. In Serbia non c'era il petrolio. Quell'intervento armato di liberazione è stato molto contestato anche da molti politici che oggi siedono in questi banchi.

Oggi la Serbia è un Paese libero che chiede - e mi auguro otterrà - di entrare nell'Unione europea. Lì il petrolio non c'era, c'era una causa umanitaria da combattere. Non è sbagliato difendere gli interessi economici italiani in Libia ed altrove; non è sbagliato avere paura che altri Paesi prendano le posizioni che, oggi, noi abbiamo anche sul petrolio e sul gas. È sbagliato affidare gli interessi economici italiani ed un vecchio tiranno che, da oltre quarant'anni, comanda con la violenza. È questo l'errore che abbiamo fatto e che non dobbiamo ripetere. L'errore che paghiamo non è stata la trattativa con la Libia, non è stato l'accordo, ma è stata l'amicizia con Gheddafi. Non è stato il negoziato economico e strategico, la legittimazione e la dignità di Gheddafi, questo è stato il nostro errore. Berlusconi ed il suo Governo non si sono limitati a dire che con Gheddafi occorreva trattare, ma hanno affermato urbi et orbi che di lui ci si poteva fidare. E l'hanno fatto, l'abbiamo fatto, signor Ministro Frattini, senza chiedere nulla in cambio. Pochi mesi fa, in quest'Aula, non siamo stati capaci di impegnare il Governo affinché Gheddafi riaprisse l'Ufficio per i rifugiati dell'ONU. Nemmeno questo abbiamo avuto il coraggio di chiedere. Ora dobbiamo confermare la scelta di campo nel massimo di unità e spirito repubblicano, dobbiamo fermare Gheddafi, riconoscere come interlocutori di una nuova Libia unita gli uomini e le donne del Consiglio nazionale di transizione e dichiarare sospeso - ho ascoltato le sue parole, signor Ministro Frattini - il Trattato di amicizia, magari enunciandolo esplicitamente.

Le incognite ed i rischi, la inevitabile violenza che si accompagna ad ogni intervento armato, anche con finalità di natura umanitaria, non ci lascia indifferenti, anzi, ma c'è un tempo in cui bisogna scegliere. Noi abbiamo scelto di sostenere il nostro Paese ed il nostro Governo e le richieste di libertà del popolo libico. Il Governo partecipi alla missione senza riserve mentali e politiche e senza pensare, come molti puerilmente sostengono, che tutto quello che è successo in Libia dipende dai nostri concorrenti, che vorrebbero farci le scarpe per il petrolio, come se tutto si potesse ridurre ad una guerra fra la Total e l'ENI. Il modo migliore per superare ed espiare le colpe del nostro passato coloniale è accompagnare, sotto l'egida dell'ONU, con i nostri alleati della NATO, il popolo libico verso il rispetto dei diritti umani, la libertà, le riforme politiche, verso la democrazia, non nascondere la gravità della situazione, non nascondere i nostri errori. Per questo, noi abbiamo sottoscritto e voteremo la risoluzione adottata presso le Commissioni venerdì scorso che dà un mandato pieno al Governo perché agisca con gli alleati, con la NATO, per dare adempimento alla risoluzione dell'ONU. È un Pag. 42mandato pieno, ogni parola aggiunta è inutile e controproducente (Applausi dei deputati del gruppo Futuro e Libertà per l'Italia).



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