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 Anno VII n° 4 APRILE 2011    -   TERZA PAGINA


Una Stonehenge siciliana
I megaliti di Argimosco: tra realtà e leggenda
Andiamo alla scoperta di un luogo archeologico poco conosciuto
Di Francesca Bisbano


Un tempo quanti fra i marinai, solcate le acque del Tirreno e attraccate le navi, cercavano ristoro presso le coste sicule immediatamente erano rapiti dalla vista di feraci coste e con esse in lontananza il capo di Tindari, la vetta di Tripi, sino al picco di Novara ed alle multiformi cime delle rocche dell’Argimosco.

Rupi mitiche, che si erigono in un altopiano situato poco più a nord dell’Etna: al confine tra i Nebrodi e i Peloritani, a 1200 metri sul livello del mare, nei pressi del comune di Montalbano Elicona. Luoghi arcani, se vogliamo ed ancora avvolti nel mistero. Si dice che un tempo fossero sede di un popolo ignoto, forse Giganti, che secondo il mito furono i primi abitatori della Sicilia dopo l’ultima glaciazione, quella di Wurm. Un’antica civiltà, semidei o anche uomini grandi e robusti, dediti alla pastorizia, che modellarono le pietre offertegli dalla natura per farne una dimora sacra agli dei.

Argimosco, unico sito megalitico in Sicilia o meglio riconosciuto come tale, desta ancora oggi in chiunque possa ammirarlo curiosità e attrattiva.

Sono molte le leggende intessute in quei luoghi, aneddoti antichi e moderni, storie che si perdono nell’oblio del tempo.
Che l’uomo primitivo abbia voluto davvero costruire i suoi templi su quelle cime battute dal vento?
Che si tratti invece di un osservatorio astronomico, dato che, percorsi i sette scalini ad elle lungo il tetraedro di pietra a sinistra dell’Orante (blocco dalle fattezze di donna, fonte di acceso interesse), è possibile scorgere anche il cratere dell’Etna?
Che non custodiscano, come alcuni sostengono, la mitica tomba di Arge, personificazione della folgore, figlio di Urano e Gea, nonché fratello di Bronte, signore del tuono e del lampo Sterope?

L’orante (per molti raffigurazione della Dea Neolitica: colei che tutto genera, signora della terra, nonché esaltazione massima del potere femminile), l’aquila dalle ali spiegate, rivolta in direzione della necropoli abacenina (civiltà pre-ellenica, che si suppone abbia dominato queste terre prima che Agatocle, tiranno di Siracusa nel 315 a. C. movesse il suo assedio contro Messina), quella accovacciata, o la coppia monolitica dei sessi maschile e femminile, stimolano la fantasia del visitatore. Il tempo sembra fermarsi e i sensi si abbandonano alle mistiche sensazioni, suggerite dal luogo.

Una Stonehenge siciliana, forse per la sua particolare natura o anche per la posizione non casuale, data dagli imponenti menhir allineati con i monti limitrofi, indice del forte interesse nutrito dai loro fondatori verso i movimenti stellari e il ciclo delle stagioni. Tutto sembra disposto per la celebrazione di riti e sacrifici. Coppelle artificiali, in parte frutto dell’erosione degli agenti atmosferici, sono ben funzionali ai culti dell’acqua. E, ancora, enormi blocchi di pietra arenaria lungo la via ricordano i simulacri fallici delle celebrazioni legate alla procreazione e, dunque, propiziatorie per i raccolti.

Magia e mistero s’intrecciano. Fantasia e poesia dominano l’impervio scenario dell’ Argimosco. Dagli studi alle ipotesi più accertate, dai racconti fantastici alle testimonianze più bizzarre di inquietanti presenze sovrannaturali, che si manifesterebbero solo in particolari periodi dell’anno. Spiriti, folletti, spettri e non morti, che la tradizione popolare elegge custodi di immani tesori, sepolti in quei luoghi o poco distante da lì. Che si tratti di un tempio, di un luogo sacro legato ai culti stagionali di morte e rinascita della natura, di un grande calendario astronomico o di un mezzo di comunicazione con altre entità, questo non è dato saperlo a causa della complicità di millenni di silenzio.



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