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 Anno VII n° 5 MAGGIO 2011    -   FATTI & OPINIONI


Considerazioni sul fatto del giorno
In morte di Bin Laden
Vittoria di facciata: la morte dello sceicco del terrore non è la fine del terrorismo
Di Giovanni Gelmini


Osama Bin Laden è morto. Lo ha annunciato questa mattina Barack Obama (ore 22 in USA) in una conferenza stampa convocata a sorpresa. “Questa notte posso riferire – ha detto - alla gente d'America e al mondo che gli Stati Uniti hanno portato a termine un'operazione in cui è stato ucciso Osama Bin Laden, un terrorista che è responsabile dell'omicidio di migliaia di uomini, donne e bambini innocenti”.

La notizia ha dato il via a un raduno spontaneo di migliaia di persone a Ground Zero per festeggiare la morte del leader di Al Qaida, cantando l'inno nazionale e al grido di “Yes we can”.

Si sono scatenate discussioni di tutti i generi; è stata diffusa anche una fotografia taroccata del cadavere di Bin Laden, mentre le autorità americane stanno valutando il caso di diffondere o meno le foto vere, anche perché il volto sarebbe irriconoscibile. Il corpo di Osama Bin Laden è stato sepolto in mare: la notizia è confermata dalle autorità militari che però non hanno rivelato dove sia avvenuta la sepoltura, la scelta del mare è stata obbligata in quanto nessuno dei paesi mussulmani ha accettato di seppellire il cadavere nella sua terra. Le autorità americane hanno detto “Abbiamo fatto tutto il possibile perché il corpo fosse trattato secondo le tradizioni musulmane.” Infatti, per la tradizione musulmana, i corpi devono essere inumati prima possibile, in genere entro 24 ore dal decesso.

Si discute in particolare se la notizia data da Obama sia credibile o meno. La dobbiamo ritenere credibile perché sarebbe troppo rischioso per il Presidente degli Stati Uniti raccontare bugie, là non le perdonano! Una cosa però è chiara: se la “reggia” dello sceicco del terrore, dove è stato ucciso dagli Navy Seal americani si trova a Abbottabad, città pakistana a circa 60 km dalla capitale Islamabad, è confermato il doppio gioco fatto dal Pakistan, che da una parte è alleato americano e dall'altra lascia che il terrorismo di Al Qaeda abbia le basi nel suo territorio.

Molti ringraziano il cielo per la morte del terrorista in tutto il mondo, anche in quello mussulmano, perché il terrorismo legato a Bin Laden ha fatto più morti nei paesi islamici che in occidente. Ma non mi sembra proprio il momento di ringraziare.

L'uccisione del capo supremo, credo, non porterà molti danni alla struttura di Al Qaeda e certamente Osama è già stato sostituito da uno dei suoi uomini. Questa esecuzione mi sembra più avere rilievo simbolico che reale. Appare più come una rivalsa degli Stati Uniti, che finora hanno ottenuto risultati scarsi in Medio Oriente e in Asia. Bush ha iniziato due guerre che si sono dimostrate un disastro inconcludente.
Lo scontro principale, quello israelo-palestinese, che sembrava risolto all'epoca di Clinton, è sempre violento e di difficile soluzione per l'intransigenza di entrambe le parti. Ora gli USA possono vantare un’azione sicuramente di grande valore simbolico e le borse hanno reagito già positivamente, mentre calano le quotazioni dei beni rifugio come l'oro.

La CIA però ha già messo in guardia dal facile entusiasmo per la morte di Osama Bin Laden; Leon Panetta, futuro capo della CIA, ha affermato: “Bin Laden è morto, ma Al Qaeda no. Dobbiamo restare determinati e vigili ” e Gilles de Kerchove, coordinatore dell’antiterrorismo dell’Unione Europea, ha ricordato che “potrebbe ispirare azioni individuali per vendicarlo”.

Riteniamo che non sia l'esecuzione rituale di un capo a fermare un movimento fino ad ora di una grande capacità operativa e di resistenza. Per superare questi anni caratterizzati dal terrore sarebbe opportuno che gli Americani si interrogassero sul perché di tutte le loro sconfitte (o non vittorie) in Africa e in Asia, partendo dalla guerra di Corea, passando per il Vietnam e la Somalia e concludendo con l'Iraq e la Palestina.

Si dovrebbero chiedere perché anche le popolazioni, che osteggiano il terrorismo, non amano gli americani e non li vogliono sul loro territorio; al massimo li sfruttano come ha fatto l'Egitto, la Tunisia e la stessa Arabia Saudita. Perché invece la Cina riesce dove gli yenkee perdono?

È forse una questione culturale: l'America impone la “democrazia” e il suo modo di vivere con arroganza, la Cina se ne frega e lascia fare, purché non si dia disturbo agli interessi cinesi.



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