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 Anno VII n° 5 MAGGIO 2011    -   FATTI & OPINIONI


Dal resoconto stenografico in corso di seduta
Roberto Menia.(FLI). Mozioni “Libia”, dichiarazioni di voto
Camera dei deputati. Seduta n. 471 di mercoledì 4 maggio 2011


Signor Presidente, onorevoli colleghi, comunque finisca, questo è stato ed è un pessimo film. Arriviamo ad un voto in Parlamento, ma, come è a tutti noto, si tratta di un passaggio che il Premier non avrebbe voluto. Sperava bastassero le parole del Capo dello Stato, che, di fronte ai nuovi impegni militari da assumere sul teatro libico, ha affermato trattarsi di logica continuità con gli impegni già assunti in ambito NATO ed internazionale. Eppure è stato proprio il più fido alleato del Presidente del Consiglio, o meglio l'uomo che fino ad oggi gli ha garantito un sostegno pagato sempre più a caro prezzo, a pretendere il passaggio parlamentare e a porgli sul capo la spada di Damocle o, se preferite, lo spadone di Alberto da Giussano.

Lasciatemi riavvolgere, come se fosse una moviola, questo film. Il prologo è un baciamano: la mano è di Gheddafi e il bacio è di Berlusconi. Poi si sovrappongono e alternano tante altre immagini: cavalli berberi, caroselli dei carabinieri, amazzoni, veline e giovani donne mandate a scuola di Corano riveduto e corretto, tende beduine piantate nel centro di Roma. Ma vi è anche, per fortuna, chi a Gheddafi chiude le porte del Parlamento, ed è il Presidente della Camera, oppure quel comandante della pattuglia acrobatica nazionale che si rifiuta, a Tripoli, di fare la fumata verde e tinge il cielo del tricolore italiano (Applausi dei deputati dei gruppi Futuro e Libertà per il Terzo Polo e Unione di Centro per il Terzo Polo).

Ora rivediamo quello che accade da qualche mese: la scintilla della ribellione si diffonde nel nord Africa, facendo cadere regimi che parevano inamovibili. Le agitazioni cominciano il 18 dicembre 2010 in seguito alla protesta estrema del tunisino Mohamed Bouazizi, che si dà fuoco dopo aver subito maltrattamenti da parte della polizia. Il gesto serve da scintilla per l'intero moto di rivolta, tramutatosi poi nella cosiddetta rivoluzione dei gelsomini. Con una sorta di effetto domino, il moto si propaga ad altri Paesi del mondo arabo della regione del nord Africa. Ad oggi due Capi di Stato sono stati costretti alle dimissioni e alla fuga: in Tunisia Ben Ali, il 14 gennaio, e in Egitto Mubarak, l'11 febbraio. Certo, con Mubarak, ora non avremo più i problemi di eventuali incidenti diplomatici a causa della nipotina.

La rivolta si accende anche in Libia: il 16 febbraio si verificano nella città di Bengasi scontri tra manifestanti scesi in piazza per l'arresto di un attivista dei diritti umani e la polizia, sostenuta dai militanti del Governo. Rapidamente l'insurrezione si diffonde da Bengasi, investe Misurata, si sposta dalla Cirenaica alla Tripolitania. Gheddafi reagisce: le sue truppe reprimono brutalmente le rivolte nel sangue e i suoi mercenari si distinguono per episodi di bassa macelleria.

Tuttavia, il 19 febbraio Silvio Berlusconi si dichiara sì preoccupato per quello che sta accadendo in tutta l'area, ma aggiunge che la situazione è in evoluzione e «non mi permetto di disturbare Gheddafi». Insomma, il Premier non vuole disturbare il suo amico, quello che durante la grottesca visita di Stato in Italia nel 2009 ha mostrato ben appuntata sulla divisa militare una foto di Omar al Mukhtar, simbolo dell'orgoglio antitaliano a cui si ispirano le celebrazioni del giorno della vendetta in Libia ogni 7 ottobre. Intanto la Francia reagisce, la comunità internazionale si indigna e comincia ad immaginare l'intervento militare. In Italia, però, tutto ciò è non pervenuto. Il nostro Ministro degli affari esteri pare sempre essere impegnato a cercare preziosi documenti provenienti, niente po' po' di meno, che da Saint Lucia.

Siamo al 4 marzo quando il capo della Farnesina dichiara, senza mezzi termini, che «è da escludere un intervento militare italiano in Libia per ovvi motivi legati al nostro passato coloniale». Poi, il 17 marzo 2011 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite adotta la risoluzione n. 1973, quella relativa alle sommosse popolari in atto in Libia dall'inizio del 2011. Questo è l'atto giuridico più importante che l'ONU possa adottare. Il 18 marzo, in conseguenza, le Commissioni riunite affari esteri e difesa della Camera dei deputati valutano positivamente la risoluzione n. 1973. Al momento del voto sono, però, assenti i rappresentanti della Lega e i parlamentari cosiddetti responsabili che, a differenza della Lega, avevano sottoscritto quel documento, ripensandoci poi, forse per un'ulteriore o più adeguata ricompensa. Il 19 marzo comincia l'intervento militare. La BBC riporta che alle ore 16,45 forze francesi hanno sparato contro un veicolo militare libico dando così inizio all'intervento militare. Il 24 marzo il Parlamento vota la risoluzione Popolo della Libertà e Lega per la missione in Libia con uno scarto di soli sette voti, in pratica a salvare il Governo sono le assenze, mancando dodici voti dell'opposizione. Berlusconi si tiene lontano dall'Aula. Il 28 marzo arriva un pesantissimo smacco internazionale ai danni del nostro Paese: l'esclusione dell'Italia dal tavolo decisionale in videoconferenza svoltosi tra Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Germania, che rende plasticamente il quadro dell'assenza di autorevolezza di cui soffre ormai il nostro Paese. È la prova lampante della perdita della fiducia degli alleati nell'Italia e, più vastamente, della perdita di prestigio nello scacchiere internazionale.

Sembrano intercorsi secoli eppure non è passato neppure un mese dall'avvio delle operazioni militari quando il nostro Presidente del Consiglio assicura che l'Italia non parteciperà ai bombardamenti in Libia sottolineando che facciamo già abbastanza e, considerata la nostra posizione geografica ed il nostro passato coloniale, non sarebbe comprensibile un maggiore impegno. A maggior ragione non possiamo bombardare. Intanto, in una nota congiunta, Obama, Sarkozy e Cameron, comprensibilmente preoccupati per l'evolversi della situazione in Libia, dichiarano l'impossibilità di immaginare un futuro per la Libia con Gheddafi al potere. Sempre il 15 aprile, a margine del Consiglio dei ministri, anche il Ministro della difesa Ignazio La Russa conferma il nostro «no» all'utilizzo di Tornado con bombe assicurando che «non utilizzeremo in maniera diversa gli aerei finora messi a disposizione. Quello che sta facendo l'Italia in Libia non è abbastanza, come dice qualcuno, ma molto, molto più di abbastanza».

Nelle ore seguenti il Presidente Berlusconi inizia a motivare le sue decisioni con ragionamenti di stampo leghista, parlando di un impegno, quello in Libia, che potrebbe risultare poco compatibile con la gestione dell'emergenza immigrati. Ancora La Russa, il 18 aprile, frena: «Il nostro Paese sta già facendo molto, non è possibile andare oltre. La soluzione della crisi non può che essere politica e diplomatica». Fonti ministeriali continuano a ribadire il «no» ai bombardamenti e alle forniture di armi ai ribelli. Dopo poco meno di una settimana, però, ecco arrivare l'eclatante dichiarazione del Premier, impegnato in una nuova giravolta: «L'Italia» - dice - «parteciperà ai bombardamenti NATO sulla Libia perché, come è logico non poteva tirarsi indietro a inderogabili impegni internazionali essendo stata, peraltro, ribadita la richiesta nel corso della telefonata intercorsa con il Presidente Obama». Il giorno successivo Calderoli tuona: «Se questo volesse dire bombardare, non se ne parla! Il mio voto non l'avranno mai! Non ci facciamo comandare né da Obama, né da altri». La successiva uscita del Ministro della difesa non può a questo punto che definirsi imbarazzante: «Non saranno bombardamenti indiscriminati» - dice La Russa - «ma missioni con missili di precisione su obiettivi specifici». In pratica, noi non bombardiamo, ma «missiliamo».

Il pressing della Lega continua e si inasprisce. Maroni dichiara: «Berlusconi ha deciso senza consultare nessuno. No alla guerra e no al bombardamento. È una decisione sbagliata che avrà come conseguenza certa un'ondata di immigrati mandata da Gheddafi ». E Calderoli dice: «Di male in peggio».

Per quanto ci riguarda, sottoscriviamo quanto in proposito ha commentato il maggior quotidiano italiano, si rischia di creare il peggio quando la Lega, chiamata ad una prova di maturità politica, scuote la maggioranza per ragioni che nulla dovrebbero avere a che spartire con l'interesse nazionale. Conoscevamo il carattere antinazionale della Lega e questo non ci meraviglia.

Se le posizioni della stessa sull'intervento in Libia fossero nate da valutazioni morali o di principio, allora sarebbero state rispettabili e la Lega non le avrebbe considerate in qualche modo trattabili e dunque il voto di rottura in Parlamento ne sarebbe stata la logica conseguenza. Ma è ormai evidente che dietro le urne e i ricatti si copre un malcelato mercato delle vacche, nomine e potere. Il melodramma prosegue: la Lega annuncia una mozione il cui punto centrale sarebbe la definizione di un limite temporale certo di fine operazioni, richiesta di tutta evidenza impossibile. La maggioranza in fibrillazione si autoconvoca per trovare la quadra. Ieri Berlusconi in persona partecipa all'incontro dei capigruppo di maggioranza per cercare l'intesa sulla mozione leghista. L'incontro, udite, udite, si tiene a Palazzo Chigi. A chi fa le pulci ad altri sul rispetto delle regole del galateo istituzionale è opportuno far notare che un atto di tipica competenza parlamentare, quale è la mozione, non si scrive né si tratta nella sede dell'Esecutivo. E per fortuna c'è chi vuol cambiare la Costituzione per affermare la centralità del Parlamento! Al termine del vertice il Premier esce rincuorato perché pare essersi salvato ancora una volta. Bossi gongola, lui che nei giorni precedenti gli aveva dato dello sconclusionato, comunica urbi et orbi Berlusconi voterà la nostra mozione perché a noi va bene e a lui non va male. Il capogruppo leghista Reguzzoni aggiunge che tutti i punti sono stati recepiti, il testo non è stato modificato e il Governo si impegnerà con gli alleati per fissare una data per la fine della missione. Il Ministro degli affari esteri, cosa che ha fatto anche questa mattina, si arrampica sugli specchi. Con una dichiarazione che direi «gustosa», si lancia in un ardito «cercheremo, con le organizzazioni internazionali e, fino a prova contraria, con la NATO e gli alleati, di fissare un termine per la missione in Libia». Dal comando NATO l'ammiraglio Rinaldo Veri, capo della componente navale delle forze alleate in Libia, smentisce lui e gli azzeccagarbugli di maggioranza. La missione si concluderà, afferma l'ammiraglio, solo quando tutte le truppe pro-Gheddafi si saranno ritirate e non ci saranno più minacce per i civili, come previsto dalla risoluzione n. 1973 delle Nazioni Unite e ad oggi le vittime civili sarebbero già 30 mila.

Per concludere, ad impossibilia nemo tenetur ci hanno insegnato i latini e voi, onorevoli colleghi della maggioranza, certo non avete il dono della preveggenza per sapere come e quando finirà questo intervento. Sapete di prendere in giro il Parlamento e l'intero Paese. Dovreste avere il coraggio invece, di prendere atto della palese inadeguatezza che emerge anche da questo teatrino cui ci avete costretto. Un Governo privo di una linea unitaria in politica estera...

PRESIDENTE. Onorevole Menia, la prego di concludere.

ROBERTO MENIA. ...è un non Governo e danneggia il Paese che è chiamato a rappresentare, così come ha ben detto il nostro capogruppo. Il problema è tutto politico, ossia che il PdL ha dovuto completamente abdicare alle condizioni di fondo di un sentimento atlantico, moderato ed europeo...

PRESIDENTE. Onorevole Menia, la prego di concludere.

ROBERTO MENIA. Noi, che teniamo alla nostra Patria, alla rispettabilità della stessa, alla coesione nazionale e alle ragioni dell'Alleanza, sappiamo di dover fare il nostro dovere fino in fondo, senza ipocrisia né mistificazione. Lo ribadiremo con il nostro voto in Parlamento, ben consci che sono i nostri soldati, quelli che orgogliosamente tengono alti i tre colori della nostra bandiera in terra e in mare, ad essere ambasciatori ed interpreti, a rischio del bene più prezioso, delle libertà, della pace, della democrazia e della solidarietà. A loro va la nostra grande (Applausi dei deputati dei gruppi Futuro e Libertà per il Terzo Polo e Unione di Centro per il Terzo Polo)...



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