REGISTRATO PRESSO IL TRIBUNALE DI AREZZO IL 9/6/2005 N 8 |
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Anno VII n° 6 GIUGNO 2011 - TERZA PAGINA Ogni paese ha le sue |
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Circondato dai monti innevati, caratterizzato da una natura quasi incontaminata: un piccolo borgo che ospita in sè un imponente castello, si mostrò agli arabi come “luogo eccellente” ed ancor prima impressionò i Dori, antichi conquistatori della Sicilia, per l'estrema asprezza dei suoi luoghi.
Quel Borgo: Montalbano Elicona, che destò interesse in Federico II D'Aragona, il quale decise di ricostruire l'antico maniero, caduto sotto gli Svevi, rafforzato poi dagli Angioini e sfruttato da vari potentati, quali: Lancia, Romano-Colonna e Bonanno, continua ancor oggi a suscitare curiosità e meraviglia.
Caso volle che un dì il nobile padrone del feudo si trovasse a passare di lì. Al morire del giorno, l'uomo, stanco per aver cavalcato a lungo, si fermò a mirare il tramonto. Guardò e rimase ammaliato dalla vista dei suoi armenti, che, rischiarati dalla luce del sole, sembravano d'oro. Il signore continuò a fissarli intensamente e per un attimo desiderò che fossero tali. Chiuse gli occhi e pensò: “Quanta ricchezza...ah se fossero d'oro...!”. A questo punto trasse un sospiro ed improvvisamente vide quei capi di bestiame trasformarsi davanti ai suoi occhi. Tra lo stupore e la meraviglia, spronò il cavallo e cercò di raggiungerli; ma quando fu in prossimità della valle, la terrà iniziò a tremare. Un'enorme voragine si aprì sotto di lui, inghiottendolo insieme agli animali. Del gregge si perse ogni ricordo, ma la sua storia continua ad essere tramandata dai pastori, di generazione in generazione. Chissà che la favola non abbia un significato! Magari qualcuno, vi ha nascosto davvero un tesoro, un bottino di guerra mai recuperato? O magari si tratta di un semplice monito per condannare la cupidigia umana, tant'è vero che nulla può riempire l'occhio dell'uomo, se non un pugno di polvere! Parlando di tesori, altri ricordano quello du Chianu di Losi (Piano di Losi), il cui ritrovamento esigeva un tributo. Chiunque avesse sacrificato un bambino (secondo le versioni più antiche), poi un cane (o tutto bianco o tutto nero) sull'altare di pietra, che si ergeva all'entrata della grotta, sarebbe stato giudicato degno di attraversare quella lunga scalinata, che si dice conduca al cuore della terra, per poter recuperare una delle più grandi fortune mai appartenute all'uomo. Anche questa storiella fa riflettere. Che non voglia ricordare antichi usi rituali, praticati da popolazioni pre-elleniche (cui spesso e volentieri se n'é accennata l'ipotesi, volendo ricostruire l'origine del borgo) site nell'isola, prima dell'arrivo dei Dori? E dunque che non abbia un significato religioso intrinseco? Chi offrirà libagioni agli dei, otterrà per questo una giusta ricompensa. Ancora, come dimenticare Malabotta? Il cui nome forse fu dato al podere, dopo che il nobile cui apparteneva, battuto al gioco dei dadi, ne perse il possesso ed esclamò : “che mala (brutta) botta!”
Quel volto così perfetto, che guarda verso il sorgere del sole al solstizio d'Estate e ha negli ultimi anni ispirato la fantasia di molti scrittori. Così la donna Orante, prefigurazione forse della dea Neolitica, diviene nell'immaginario collettivo Marta D'Elicona, donna virtuosa che, per sottrarsi alle lusinghe di un demone dei boschi, preferì farsi tramutare in pietra, così come Dafne nella mitologia classica per sfuggire ad Apollo assunse le sembianze di una pianta di alloro. Un mito antecedente alla cristianizzazione dell'isola? O un semplice aneddoto, coniato da qualche dotto locale per giustificare l'insolita forma assunta dal quell'enorme monolite, che sorge nell'area Megalitica dell'Argimosco (o Argimusco)? O du Chianu ri Danzi (Il piano delle Danze), così denominato perché si diceva che al calar del sole vi danzassero le fate dei boschi vicini. Quegli esseri evanescenti, che nell'antica Grecia indicavano le Parche, tessitrici e padrone del filo del destino, che i popoli cristianizzati, ancora fortemente influenzati dalla tradizione celtica, consideravano “angeli caduti”, cacciati dal paradiso, ma non abbastanza crudeli per essere rinchiusi negli inferi e dunque destinati ad abitare sulla terra, esseri che hanno sempre popolato la tradizione italo-francese e che gli antichi pastori montalbanesi credevano di vedere, forse fungevano loro da conforto ad una dura giornata di lavoro, guidandoli sulla via del ritorno. Tante leggende e molteplici storielle, che, se non avranno un fondo di verità, costituiscono pur sempre una parte importante del patrimonio storico-artistico e culturale della regione, un 'eredità che non si trova sui libri, ma rimane impressa nel cuore e nella mente dell'uomo.
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