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 Anno VII n° 7 LUGLIO 2011    -   TERZA PAGINA


Quale arte?
Arte Triste: una necessità o un errore?
Perché non la gioia? Forse perché è più facile smuovere le lacrime che il sorriso?
Di Cricio


L'arte è una cosa seria. Si, certo, ma è proprio necessario che sia triste?

Nella vita ci sono momenti di tristezza. Non sempre siamo contenti, non sempre siamo a nostro agio. Ci sono ambienti che producono questo disagio, ci si sente soli, non “a casa” Ecco che un artista come Calvetti, di cui ho parlato nel numero scorso, può voler indagare con la sua arte questi momenti e non è certo una cosa negativa.

Edvard Munch, Il grido, 1885
Ma cosa è la tristezza o la malinconia? In greco vuol dire “bile nera” dei quattro umori; gli altri sono il flegma, la bile gialla, e il sangue, e a loro era assegnato il compito di controllare l'esistenza e i comportamenti dell'uomo. Possiamo anche affermare che la malinconia è uno stato di tristezza costante. Oggi noi attribuiamo alla melanconia due diversi significati. In medicina è indicata come prodromo della depressione. Questo, più diffuso come significato, quello culturale di "stato dell'anima" che non è solo penoso e deprimente, ma anche o nostalgico.

L'artista “triste” lo è perché si sofferma sugli elementi non positivi della società in cui viviamo come: la solitudine, lo sfruttamento, la condizione dell'uomo e della donna, l'invasione del cemento nella campagna. Insomma tutti i motivi di lagnanza che possiamo avere.

Il romanticismo, in particolare, mette in evidenza nell'arte la melanconia come elemento di fondo, espressione dell'impossibilità di raggiungere la bellezza assoluta e il senso di “esclusione dalla società. Nella pittura ottocentesca lo troviamo con Van Goog, Munch e Modigliani.


Vinvent Van Gogh, Ritratto del dottor Gachet, 1890
Vorrei però osservare che la pittura dei tre autori ottocenteschi che ho appena citato non ha nulla di languido, è sempre una pittura forte, a volte addirittura violenta, così molti dei personaggi dei romanzi ottocenteschi.

Su questa traccia si è evoluta l'arte moderna passando dallo “spleen” di Baudelaire alla “noia” di Jean Paul Sartre.

Ma è necessaria la tristezza per fare arte?
Credo proprio di no. Molti artisti non la frequentano.

Vi porto ad esempio tre artisti, di cui ho scritto su queste pagine Sergi Barnils, Bruno Lucchi e Francesco Musante. Difficile trovare in loro la tristezza.
 

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Sergi Barnils,La seva fidelitat t'és per escut i defensa, 2010 tecnica mista su tela cm 700x 700

Sergi Barnils ha sicuramente una carica di gioia che esprime con i colori. Di lui ho scritto:

“Ho visto le sue produzioni, danno una grande sensazione di pace, di sicurezza. Colori vivaci trasmettono la sensazione della vita non malinconica, non romantica, ma vigorosa vita da vivere in una prospettiva positiva: credere in qualcosa che porti al bene”

Bruno Lucchi Simbiosi

Bruno Lucchi ama la bellezza e “mi sono innamorato delle sue sculture, quando le ho viste in fotografia, immerse nel verde della natura. La prima cosa che mi ha colpito di quelle immagini è stata l'armonia, la serenità che infondevano. Oggi in questa società, l'arte troppo spesso non infonde serenità. Le sue forme sembra che ti sorridano e ne sono rapito.” così ho scritto e nelle sue opere non si sente tristezza, ma consapevolezza che la felicità esiste.

Infine Francesco Musante è il pittore del fantastico. Su un fondo blu notte, con ricami di stelle, risaltano figure che sembrano essere state copiate dalla nostra mente, dalle favole sentite da piccoli; possiamo vedere una teiera e le tazze da tè che potrebbero venire da “Alice nel paese delle meraviglie”, una ballerina acrobata che danza sugli oggetti più impensati, come la punta di una matita, il soldatino di stagno, la sirenetta, tutto contornato da disegni, apparentemente infantili: case, cuori, peluche, giocattoli viventi, personaggi del circo, che piroettano sulle sue tavole, creando ambienti di grande serenità. Questo è il mondo fantastico che abbiamo certamente vissuto nella nostra infanzia.

Francesco Musante L'equilibrio altamente critico di una notte nella fabbrica della pioggia 2009, Tecnica mista su tavola 40,0 x 40,0

Ecco è possibile che ci ispiri un poco di nostalgia, ma difficilmente tristezza.

In un mio precedente articolo criticavo fortemente la tendenza di un ampio settore dell'arte moderna nel dare forti tonalità angoscianti alle loro opere; di angoscia ne abbiamo così tanta intorno a noi, che non sento il bisogno che qualcuno me la descriva con un'opera d'arte. Un po' di tristezza non sempre fa male e può anche piacermi, ma deve essere ben calibrata, non gratuita.

Riprendo ad esempio Fabio Calvetti, citato in apertura di cui ho appena scritto. Questo autore toscano così parla della sua arte “Un momento di solitudine può essere un momento di riflessione per ripartire meglio di prima e non puro struggimento”. È il pittore della solitudine nella grande città, come si farebbe a descrivere questo senza tristezza?

Fabio Calvetti Ti aspetto 25x30 tavola

Quando la malinconia o la tristezza è equilibrata e giustificata ci sta. Quello che non sopporto è l'indulgere alla malinconia, il cercarla a ogni costo, pensare che per forza per fare arte si debba essere malinconici; non accetto chi si crogiola nella malinconia e la fa diventare un'abitudine irrinunciabile.

Credo che molti artisti, non troppo bravi, indulgano alla malinconia e alla tristezza solo perché è più facile far piangere che far ridere.



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