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 Anno VIII n° 1 GENNAIO 2012    -   FATTI & OPINIONI


Un dibattito fra i tanti
Le liberalizzazioni e i Giornalisti
Gli Ordini hanno perso di vista il loro compito: il caso dell'Ordine dei Giornalisti
Di Giovanni Gelmini


Come tutte le crisi di sistema, anche questa spazza via le posizioni acquisite e non rispondenti alla necessità della società. Questo non può avvenire con facilità, perché le lobby di chi beneficia di vantaggi fanno di tutto per mantenerli, anche ricorrendo a dichiarazioni false e a porsi a difensori dei cittadini: così i commercianti non vogliono l'orario libero, i tassisti non vogliono l'ampliamneto delle licenze, gli avvocati alzano grandi grida per l'eliminazione delle tariffe minime (N.d.R. vedere per credere cosa è il tariffario degli avvocati: un mezzo per guadagnare di più se durano a lungo le cause!) e i Farmacisti si lamentano per l'apertura di banchi di vendita in supermercati ed erboristerie, ma si dimenticano di fare concorrenza sleale, vendendo nelle farmacie profumi, cosmetici, pannolini, zoccoli, e tante cose da diventare un vero bazar di lusso; per far questo si sono perfino dovuti iscrivere presso i Comuni come esercizi di vicinato, cioè come il fruttivendolo o la parrucchiera che vende lo shampoo, oltre a fare permanenti.

I giornalisti in modo più discreto hanno aperto un grande dibattito per “salvare l'Elenco dei Pubblicisti”, ma in vero è per salvare la casta dell'Ordine dei Giornalisti.

C'è effettivamente da chiedersi a cosa dovrebbe servire l'Ordine dei Giornalisti se non a garantire agli utenti lettori le professionalità di chi fa informazione. Non è certo il suo compito sostenere la cassa pensioni INPGI, come invece sembra pensare il Presidente dell'Ordine, Enzo Iacopino, con la sua proposta di immissione automatica all'Elenco Professionisti dei pubblicisti, che hanno versato contributi alla cassa pensionistica, e cancellare tutti gli altri.

Fa anche pensare chi afferma che i pubblicisti non possono sostenere l'Esame di Stato in quanto “non campano della professione” (N.d.R. la figura del pubblicista è di un giornalista che svolge questo lavoro come secondario ad un'altra attività economicamente principale), come se solo l'essere retribuiti profumatamente faccia la professionalità. Cosa pensare allora dei professionisti pagati 2,5€ ad articolo o quelli che non hanno lavoro; non sono capaci professionalmente o sono solo degli sfigati?
È opportuno anche chiarire che gli iscritti all'Ordine dei giornalisti sono 27.544 Professionisti, di cui ben 15.642 in Lazio e Lombardia, e 71.035 Pubblicisti. Allora il dubbio che l'informazione abbia bisogno dei pubblicisti e della loro “non professionalità” credo che sia più che ragionevole e il fatto che il Consiglio Nazionale dell'Ordine sia composto da 77 professionisti e 73 pubblicisti, sembra confermare la loro importanza.

Forse non si è capito che gli Ordini non sono nati per creare una casta attraverso un Esame di Stato assurdo costoso e settario e che ci concentra nella verifica delle conoscenze basilari per la professione, le leggi e le regole deontologiche, ma spazia su argomenti che nulla hanno a che fare con la “professionalità giornalistica”, come se fosse una seconda tesi di laurea. Il compito di questo esame dovrebbe essere solo di certificare la professionalità, intesa come conoscneza dei compiti, delle leggi e delle norme deontologiche, e sottoporre di conseguenza l'operato degli iscritti all'ordine, ove si presenti la necessità, alla verifica etica e togliere quelli che non rispettano le regole deontologiche, cosa che oggi non avviene.

Due elenchi corrispondono alla necessità?
Diamolo per scontato, ma non ho capito perché i pubblicisti non possano e non debbano avere anche loro una certificazione di sapere quali siano gli obblighi di un giornalista, cioè quello che si può chiamare “Esame di Stato”.

La “professione dei giornalisti” ha perso di vista la sua professionalità e lascia nel suo corpo tanti copiatori di notizie che scrivono senza capirle, o peggio, che non approfondiscono il problema, ma da ignoranti lanciano campagne assolutamente errate e provocano gravi danni alla società, come a volte capita anche a grandi testate; l'importate è fare “audience” o vendere copie, non conta se si dice il falso.
C'è poi un problema, se si mantengono i due elenchi: i pubblicisti fanno concorrenza ai professionisti. Se volgiamo superare questo punto, l'Ordine dovrebbe verificare che i pubblicisti abbiano una professione e che questa sia la principale, e non limitarsi a verificare l'esistenza pecuniaria della loro attività giornalistica, insomma l'Ordine oggi è un bel pasticcio di competenze e di incompetenze.

Credo che gli Ordini vadano tutti rivisti profondamente, incominciando dai contenuti degli Esami di Stato. La loro esistenza deve solo servire a rendere pubblica la capacità professionale e certificare l'aderenza ai dettami deontologici, non garantire redditi agli iscritti. Sembrerebbe che l'idea del Governo sia questa e speriamo che gli Ordini lo capiscano. Altre associazioni, a carattere volontario e non obbligatorio possono garantire altre qualità professionali.

Ma c'è qualcosa di più sul famoso “quarto potere”.
Le nuove tecnologie hanno rivoluzionato il sistema di fare comunicazione, ma la legge sulla stampa è ancora ancorata alle “rotative” e distingue le testate per cadenza di uscita, con l'obbligo di pubblicare dei “numeri” secondo la cadenza; non esiste la figura della “comunicazione continua” quale si realizza nella realtà con internet.
L'elenco delle testate (come quello dei giornalisti) sarebbe opportuno che fosse disponibile a livello nazionale e non a livello provinciale; quindi bisognerebbe togliere l'incombenza della registrazione delle testate ai Tribunali per affidarla alle Camere di Commercio, meglio attrezzate allo scopo.

Una grande semplificazione che farebbe ridurre le spese e garantirebbe una migliore qualità del prodotto “Stampa” a vantaggio della comunità.



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