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 Anno VIII n° 1 GENNAIO 2012    -   MISCELLANEA


Un po' di storia
Il vino in America: storia di una nascita travagliata
In cui si scopre che la vite americana ha salvato il nostro vino
Di Luana Scanu


Quando si progetta un viaggio negli Stati Uniti difficilmente si pensa di andare a visitare le vigne o le cantine; questo succede in Francia, in Italia, in Spagna, ma non in America. Ebbene, in realtà è solo un luogo comune, visto che la produzione vinicola di questo paese è la quinta al mondo.

Mentre gli altri stati a vocazione vitivinicola hanno una storia legata ad essa che risale a molti secoli addietro (in Italia i greci iniziarono a coltivare la vite nell'ottavo secolo a.C), in America la coltivazione della Vitis Vinifera risale al 1500, quando gli spagnoli approdarono sulle coste americane.

Infatti quando essi arrivarono, trovarono un po' dappertutto vite selvatica di vari generi, ma nessuna delle specie americana sembrava adatta a dare buoni vini.
Nella parte nord orientale del paese si coltivava la Vitis Lambrusca, la più diffusa in tutta la zona, che dava vini leggermente dolci dal sapore molto forte, di selvaggina, che normalmente si chiama “foxy”.

In Florida invece si usava un'altra specie poco comune, la Vitis Rotundufolia, i cui acini non crescono in grappoli ma singolarmente sui rami, ma che produce un vino non troppo buono. Per questi motivi i colonizzatori iniziarono a importare la specie europea, ma stranamente le talee della Vitis Vinifera che piantarono non riuscirono ad attecchire, e neanche i tecnici europei ottennero buoni risultati.

Solo verso la fine del 1800, dopo tanti esperimenti e dopo aver esportato tante talee in Europa, i viticoltori individuarono il problema: un'afide della specie Philloxera che attaccava le foglie delle viti americane.

Buona parte della viticoltura europea venne distrutta da quest'afide, ma prima di capire che l'agente della devastante moria dei vigneti europei era lo stesso che già aveva creato problemi con la vite americana ci vollero diversi anni e svariate ricerche.
Alla fine si arrivò ad una conclusione: le radici delle piante americane erano immuni alla Philloxera e si provò quindi a innestare la vite europea sui portinnesti americani. L'esperimento riuscì e venne risolto sia il problema dell'America che dell'Europa.

Dopo la fillossera però gli americani dovettero affrontare un altro problema, che causò la stagnazione nella produzione del vino: la prima guerra mondiale, che fece calare vertiginosamente la manodopera nelle vigne.

E come se non bastasse, finita la guerra, fu la volta del proibizionismo: il diciottesimo emendamento, che di fatto proibiva la produzione e la commercializzazione di qualsiasi bevanda alcolica, affondò la produzione commerciale, ma diede un forte impulso alla produzione casalinga e clandestina. Le uniche bevande permesse erano quelle utilizzate durante le cerimonie liturgiche e quelle che venivano considerate rimedi farmaceutici, tra cui il Marsala.

Il proibizionismo durò per 14 anni e quando finalmente finì la recessione economica che interessò l'America e lo scarso interesse nei confronti di un prodotto che veniva considerato di lusso portò ad una produzione ancor più stagnante.

Solo nel 1970 vi fu finalmente una ripresa della produzione enologica, soprattutto nella California, e oggi gli Stati Uniti producono circa venti milioni di ettolitri di vino all'anno, posizionandosi al quinto posto nella produzione mondiale. La Vitis Vinifera è diventata la specie dominante e viene coltivata praticamente in tutti gli stati.



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