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Informativa del Presidente del Consiglio dei ministri sul Vertice europeo di Bruxelles del 28 e 29 giugno 2012

Senato della Repubblica - Legislatura 16a - dal resoconto stenografico della seduta n. 756 del 03/07/2012 (Bozze non corrette redatte in corso di seduta)


PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca: «Informativa del Presidente del Consiglio dei ministri sul Vertice europeo di Bruxelles del 28 e 29 giugno 2012».

È in corso la diretta televisiva con la RAI.

Ha facoltà di parlare il presidente del Consiglio dei ministri e ministro dell'economia e delle finanze, senatore Mario Monti.

MONTI, presidente del Consiglio dei ministri e ministro dell'economia e delle finanze. Signor Presidente, onorevoli senatori, vorrei anzitutto unirmi ai sentimenti di cordoglio già espressi dal Presidente del Senato per la scomparsa del senatore a vita Sergio Pininfarina. Ho avuto modo di conoscere personalmente l'ingegner Pininfarina e di apprezzarne le doti di imprenditore, di organizzatore, di animatore di progetti, fornito di un talento innato per coniugare concretezza e bellezza, qualità profonde dello spirito italiano.

Prendo la parola oggi per onorare l'impegno che ho assunto alla Camera dei deputati lo scorso 26 giugno di riferire al più presto al Parlamento sugli esiti del Consiglio europeo tenutosi giovedì e venerdì scorsi a Bruxelles; un Consiglio europeo che le mozioni presentate dal Parlamento avevano giustamente definito un appuntamento cruciale per il futuro del progetto europeo, chiedendo decisioni che potessero segnalare una decisa inversione di rotta rispetto ad un passato di risposte politiche tardive ed insufficienti.

È quindi con rispetto delle determinazioni del Parlamento e con il senso dell'importanza delle decisioni prese dal Consiglio europeo che ho chiesto ai Presidenti delle due Camere di poter illustrare, oggi al Senato e giovedì alla Camera, l'esito del Vertice.

Conoscete già gli aspetti più significativi delle conclusioni del Consiglio europeo. Non mi soffermerò quindi sui dettagli tecnici, ma piuttosto su quello che è il giudizio politico che possiamo dare su questo Vertice e sulle indicazioni che ne vengono per il futuro.

Intervenendo alla Camera subito prima del Consiglio europeo, avevo notato che esso non si sarebbe svolto secondo un copione già scritto, approvando documenti preconfezionati, poiché si apriva in un contesto segnato da forte indeterminatezza su quello che sarebbe stato il punto di equilibrio finale. Guardando oggi ai risultati del Vertice, possiamo dire che esso ha costituito un passo in avanti per un'Europa come noi italiani la vogliamo: più orientata alla crescita, più stabile e solidale, dotata di una governance più coerente e più democratica.

Vorrei partire dal primo elemento. Se torniamo con il pensiero al mese di gennaio scorso, alla firma del fiscal compact, la parola crescita era relegata in un solo accenno nella parte quarta di un trattato per larga parte dedicato a delineare il quadro di regole per la disciplina delle finanze pubbliche. Sin da allora il Governo si è adoperato, con impulso costante del Parlamento, affinché nell'agenda comunitaria fosse attribuita un'attenzione alle politiche per la crescita almeno pari a quella attribuita alla politica di bilancio.

Abbiamo chiesto che ciò avvenisse attraverso specifiche azioni a livello comunitario, non solo attraverso riforme strutturali a livello nazionale, che pur sono indispensabili.

Lo abbiamo fatto per un convincimento economico e politico. Dal punto di vista economico, riteniamo infatti che un adeguato tasso di crescita sia necessario anche per impostare un processo di consolidamento del bilancio credibile e sostenibile nel tempo.

Porre la crescita come obiettivo dell'azione dell'Unione europea ha anche un valore dal punto di vista politico, che in nessun luogo meglio che in un Parlamento può essere apprezzato. L'Europa non può rappresentare solo un'autorità dotata di poteri di integrazione negativa: un corsetto di regole, meccanismi di allerta, procedure di monitoraggio e sanzioni. L'Europa deve anche essere un vettore, un motore di integrazione positiva che stimola gli Stati membri, apre speranze, propone soluzioni comuni. Da questo punto di vista, possiamo dirci soddisfatti dei risultati di questo Consiglio europeo: è stato raggiunto l'accordo su un patto per la crescita e l'occupazione che completa il fiscal compact e contiene una serie di iniziative che daranno un sostanziale stimolo all'attività economica e alla creazione di posti di lavoro in Europa.

Qualche trimestre fa, la parola crescita aveva difficoltà a trovare cittadinanza nei documenti dell'Unione europea; questo patto mobiliterà 120 miliardi di euro, pari all'1 per cento del prodotto interno lordo europeo, al servizio degli investimenti, delle imprese e dell'occupazione, in particolare dei giovani e delle donne. Siamo particolarmente soddisfatti, anche perché ritroviamo nel patto molti elementi di cui l'Italia si è fatta promotrice nei mesi scorsi.

Vorrei cogliere l'occasione per ringraziare vivamente il ministro per gli affari europei Enzo Moavero Milanesi per l'impegno e le energie che ha speso nel tessere la tela diplomatica di preparazione del Consiglio europeo. (Applausi dai Gruppi PdL, PD, CN:GS-SI-PID-IB-FI, UDC-SVP-AUT:UV-MAIE-VN-MRE-PLI-PSI, Per il Terzo Polo:ApI-FLI edai banchi del Governo).

Analogo ringraziamento voglio rivolgere per tutta la preparazione stimolata e condotta nella filiera più economico﷓finanziaria dell'ECOFIN e dell'Eurogruppo al vice ministro per l'economia e le finanze Vittorio Grilli. (Applausi dai Gruppi PdL, PD, CN:GS-SI-PID-IB-FI, UDC-SVP-AUT:UV-MAIE-VN-MRE-PLI-PSI, Per il Terzo Polo:ApI-FLI edai banchi del Governo).

Più in generale, se mi permettete, vorrei infine ringraziare tutta la squadra del Governo, compresa la rappresentanza permanente presso l'Unione europea, che ha fatto un lavoro splendido sotto gli occhi vigili, di stimolo e impulso di questo Parlamento. (Applausi dai Gruppi PdL e PD). In primo luogo, il mercato interno è riconosciuto come motore essenziale della crescita, con particolare riferimento ai servizi, all'economia digitale, all'industria a rete e ad una governance più efficace. Si tratta, come ricorderete, di temi che l'Italia aveva sostenuto nella lettera firmata con altri 11 Stati membri, e che ora trovano una consacrazione nelle conclusioni del Consiglio europeo.

Altri temi importanti riguardano il finanziamento della crescita, con la ricapitalizzazione della Banca europea per gli investimenti, la riprogrammazione dei fondi strutturali, l'avvio della fase pilota dei project bond, l'apertura ad una tassa sulle transazioni finanziarie, eventualmente anche attraverso una cooperazione rafforzata.

Vorrei inoltre segnalare, perché è un tema che, pur nella sua tecnicità, ha fatto appassionare anche molti membri del Parlamento, l'importanza del riconoscimento del ruolo degli investimenti pubblici per la crescita. Nella delibera del Consiglio europeo, la Commissione ha invitato a monitorare gli effetti delle regole di disciplina dei bilanci sulla spesa per gli investimenti e ad individuare margini per incentivare gli Stati membri ad indirizzare la spesa verso investimenti pubblici produttivi e portatori di crescita futura.

Di fatto, si apre la strada ad una considerazione differenziata tra la spesa in conto corrente e la spesa in conto capitale nella valutazione del percorso degli Stati membri verso i loro obiettivi a medio termine dentro il Patto di stabilità e di crescita. Quindi, l'espressione «e di crescita» non è più solo quel suffisso che nel 1997, al momento della preparazione del Patto di stabilità, fu introdotto quasi come elemento un po' estraneo dell'architettura, ma diventa parte molto più centrale. La logica, se non la formulazione precisa, è un po' quella della golden rule per la quale molti in Italia si sono sempre battuti.

Sempre in materia di crescita, il Consiglio europeo ha infine segnato la chiusura della seconda edizione del semestre europeo. Quella sperimentale c'era stata l'anno scorso; quest'anno, in forma molto più piena ed incisiva, si è avuto un semestre europeo di coordinamento delle politiche economiche con l'approvazione delle raccomandazioni specifiche per Paese.

Il secondo elemento importante delle conclusioni del Consiglio riguarda l'impegno a completare e rendere più stabile l'architettura dell'Unione economica e monetaria. Il Consiglio ha preso atto della relazione presentata dal presidente Van Rompuy, in cooperazione con il presidente Barroso, con il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi e con il presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker.

Il rapporto, che è molto stringato, ben strutturato e bilanciato, indica una serie di interventi necessari per correggere difetti di architettura dell'Unione economica e monetaria sotto l'aspetto dell'integrazione finanziaria, economica, fiscale e della governance democratica. Questo è un punto sul quale abbiamo particolarmente insistito; è un punto molto di spirito parlamentare, se permettete; è un punto essenziale anche in un documento che riguarda tematiche che possono sembrare aride come l'integrazione bancaria o fiscale.

È in questo quadro che sono affrontate le questioni che, anche in questo caso, fino a qualche mese fa sembravano un tabù, come gli eurobond, perché si parla - cosa che non ha fatto piacere proprio a tutti gli Stati membri, ma c'è nel documento - di un percorso verso emissioni in comune di titoli del debito pubblico.

Il Consiglio europeo ha invitato il presidente Van Rompuy a continuare questo lavoro di medio termine, in associazione con gli Stati membri e in consultazione con il Parlamento europeo, presentando un rapporto intermedio nel mese di ottobre e un rapporto finale con tempi e proposte concrete entro l'anno.

Il terzo aspetto significativo delle decisioni adottate venerdì scorso (in questo caso particolare, alle quattro e mezzo del mattino di venerdì scorso) riguarda le misure per la stabilizzazione nel breve periodo dei mercati finanziari. L'obiettivo di fondo è stato rompere il circolo vizioso tra debito sovrano e rischio bancario. Questo è un tema posto con particolare forza dall'Italia in tutte le riunioni preparatorie.

Avrete letto del fatto che l'Italia, nella persona di chi vi parla, ha posto giovedì sera una riserva di attesa in seno al Consiglio europeo. Da una parte degli osservatori internazionali ciò è stato preso in modo critico. A questa presa di posizione si è associato il primo ministro spagnolo Rajoy. Il presidente Hollande, senza porre a sua volta una riserva di attesa, è intervenuto per dire che riteneva ben comprensibile che l'Italia e la Spagna ponessero questa riserva.

Cosa è una riserva d'attesa? Semplicemente ho detto che, pur essendo molto positivo il giudizio del Governo italiano sul contenuto del Patto per la crescita (growth compact), non mi sarei sentito di dare l'adesione formale, in un consesso che esige il consenso unanime, a quel documento se non vi fosse stata anche una decisione su misure di stabilizzazione dei mercati finanziari a breve termine.

Era un passaggio un po' ardito, perché, mentre il Patto per la crescita era stato ormai varato, nella sostanza, dall'Europa a 27 (perché non riguarda solo l'Eurozona), le misure di stabilizzazione dei mercati finanziari riguardavano solo l'Eurozona, quindi a 17, e il Vertice dell'Eurozona era previsto per il giorno dopo; però, siccome nella premessa stessa delle conclusioni che avevamo sul tavolo come bozza del Vertice a 27 si diceva: «Si lavora per il growth compact», per la crescita, e si sosteneva con grande evidenza e realistico candore che oggi l'ostacolo forse maggiore alla crescita dell'economia europea è la grande incertezza presente nei mercati della zona euro, quale sarebbe stato l'impatto di un documento finale del Consiglio europeo che si fosse indirizzato molto bene alle cose necessarie per la crescita, ma che niente avesse detto sull'altra cosa che alla terza riga veniva vista come principale ostacolo alla crescita?

Sulla base di questa considerazione, nella non felicità soprattutto dei Capi di Governo dei dieci Paesi non appartenenti alla zona euro, si è concluso che il documento sulla crescita poteva, sì, essere presentato il giovedì sera alla stampa dal presidente Van Rompuy, purché si chiarisse che non era ancora adottato perché due Stati membri avevano emesso quella riserva.

Siamo poi passati alla discussione serale, notturna e mattiniera sui problemi dell'Eurozona a 17. Abbiamo trovato un accordo unanime, con mediazioni tra le diverse posizioni. Sono quindi entrati in scena meccanismi per la stabilizzazione. A quel punto, abbiamo potuto togliere la riserva di attesa, e quindi si è materializzato anche il consenso a 27.

Devo dire che diversi Capi di Governo «non euro», che non avevano visto bene questo ritardo nel momento di gioia dell'annuncio del Patto per la crescita, hanno detto che in fondo si era persa mezza giornata in più di attesa, ma che era stato tempo ben speso, perché così il Consiglio europeo si concludeva con una decisione per la crescita, ma anche con una decisione per la stabilità. Questo fa piacere, in realtà, anche agli Stati non membri della zona euro. (Applausi dai Gruppi PdL, PD, UDC-SVP-AUT:UV-MAIE-VN-MRE-PLI-PSI e Per il Terzo Polo:ApI-FLI).

Nel testo, su questi meccanismi di stabilizzazione (con cui non vorrei adesso farvi perdere tempo, perché ho preferito illustrarvi la logica di fondo), abbiamo introdotto alcune cose che interessano la Spagna, l'Irlanda, l'Italia, ma, più in generale, rafforzano la zona euro (infatti, l'Italia non è mai menzionata esplicitamente come Paese). Si rinuncia allo status di creditore privilegiato per gli interventi del meccanismo europeo di stabilità nei confronti della Spagna, che inciampava nei meccanismi di sostegno al sistema bancario spagnolo, ed è stato deciso di muovere verso un sistema sovranazionale di supervisione del settore bancario, incentrato sulla Banca centrale europea, e la stabilizzazione del mercato dei titoli del debito sovrano.

Questo Summit dell'Eurozona ha deciso che il cosiddetto fondo salva Stati e il suo successore - il sistema europeo di stabilità - possano essere usati in modo più flessibile per stabilizzare il mercato dei titoli del debito sovrano per quei Paesi che sono in regola con le condizioni poste nel quadro del semestre europeo e del Patto di stabilità e di crescita. Perché? Abbiamo voluto - ciò credo risponda alla logica italiana e rifletta l'interesse dell'Italia - distinguere (questa distinzione è stata accolta) tra quei Paesi che sono sotto programma (cioè finanziati e sostenuti per essere salvati nella loro finanza pubblica dal cosiddetto fondo salva Stati europeo: come sapete, in questo momento tali Paesi sono Grecia, Irlanda e Portogallo e, adesso, limitatamente alla parte bancaria, Spagna) e gli altri Paesi (tra cui c'è l'Italia) che sono in regola con i requisiti e le condizioni poste dall'Unione europea, ma che, data la complessiva instabilità del mercato dell'euro, stentano a veder riconosciuto tempestivamente, nel mercato, il progresso fatto nella realtà della politica economica (e hanno ancora, infatti, uno spread molto elevato).

Credo, infatti, che i mercati (che non vanno demonizzati, né - peraltro - angelizzati) non esprimano sempre la migliore valutazione economica. Ci sono stati 8-10 anni, nella fase iniziale dell'euro, in cui i mercati hanno piuttosto dormito e, non determinando spread tra i Paesi, hanno fatto coltivare l'illusione che la qualità del debito di tutti gli Stati dell'Eurozona fosse la stessa, il che non è vero. Poi i mercati si sono svegliati e hanno avuto incubi notturni e diurni: li hanno fatti avere agli operatori, agli Stati, alle imprese e ai risparmiatori. Oggi, però, non sono di nuovo un perfetto misuratore dei progressi fatti dai singoli Paesi.

Ecco, allora, che occorre, in Europa, una governance migliore, che abbia tutti gli strumenti della disciplina che viene dalla governance pubblica e dalle regole, ma anche la capacità di valorizzare nel mercato, con occasionali interventi di stabilizzazione, l'espressione di tassi di interessi che incoraggino i Paesi neovirtuosi a persistere nella virtù, anziché indurli scetticamente a dire: ma perché tutti questi sforzi?

Ebbene, credo di fermarmi qui, dicendo che il percorso assolutamente non è finito, perché da questa dichiarazione importante ed articolata, ma ancora di massima, adottata al Consiglio dell'Eurozona e, poi, al Consiglio europeo, bisognerà passare alla formulazione, nell'Eurogruppo del 9 luglio (forse anche del 20 luglio), per cristallizzare e consolidare il tutto, con la presenza di alcuni Stati membri, come Finlandia ed Olanda, che hanno una certa insofferenza per questi meccanismi di stabilizzazione e che, quindi, probabilmente, avranno delle opposizioni che cercheremo di sormontare.

Naturalmente ho compreso che alcune voci in Parlamento esprimevano in modo ipersemplificato il proprio sentimento quando dicevano che bisognava «andare a picchiare i pugni sul tavolo». Se si va a picchiare i pugni sul tavolo, forse il tavolo vibra un po' ma non viene conseguito alcun risultato. Ma se questo significa invece costruire un'azione diplomatica serrata e costante (e di nuovo ringrazio il ministro Moavero che è stato preziosissimo in quest'ottica ), creare occasioni di incontro come quella a Roma dei quattro principali Paesi dell'eurozona, nonché fare queste riserve di attesa al momento opportuno, credo di aver interpretato, anche nel metodo, il pensiero e l'orientamento del Parlamento.

L'altra questione. È sempre più chiara la connessione molto stretta tra ciò che Governo e Parlamento fanno in casa propria e i margini che si aprono per far valere la propria posizione in Europa. Sono grato anche in questo a Camera e Senato che hanno aderito tempestivamente nel dare la loro finale approvazione alla riforma del mercato del lavoro, perché anche questo ci ha aiutato nel supportare la nostra posizione nel Consiglio europeo a Bruxelles.

Per ragioni varie, sulle quali non intendo tornare, la riforma del mercato del lavoro non ha avuto enorme e unanime apprezzamento in Italia. Vi assicuro che negli ambienti internazionali, che pure sono molto sottili e sofisticati, ha avuto invece ampio riconoscimento. Per esempio, Il 27 giugno, giorno di inizio del Consiglio europeo, il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, di cui leggo il comunicato, ha espresso «forte soddisfazione per l'adozione definitiva da parte della Camera dei deputati italiana della riforma del mercato del lavoro, che completa il passaggio in Parlamento di questa importante legislazione». «Il voto odierno» ha commentato il presidente Barroso «manda un segnale forte della determinazione dell'Italia ad affrontare i seri problemi strutturali che hanno a lungo impedito al Paese di raggiungere il suo pieno potenziale».

Spero quindi, nei pochi mesi (con ciò intendendo fino alla primavera 2013) che questo Governo ha ancora di fronte a sé come prospettiva di collaborazione con il Parlamento, di poter spesso interagire - auspico con il vostro appoggio e la vostra fiducia - tra il fronte italiano e quello europeo in una prospettiva - speriamo - un po' più serena nei prossimi tempi. (Applausi dai Gruppi PdL, PD, UDC-SVP-AUT:UV-MAIE-VN-MRE-PLI-PSI, Per il Terzo Polo (ApI-FLI), CN:GS-SI-PID-IB-FI, Misto-ParDem e Misto-P.R.I.).

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