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 Anno VIII n° 8/9 AGOSTO / SETTEMBRE 2012    -   RECENSIONI


Letto per voi
“Dieci lezioni sull'Italia contemporanea. Da quando non eravamo ancora nazione... a quando facciamo fatica a rimanerlo” Di Mario Isnenghi
Un modo serio di leggere la Storia d'Italia che ci può aiutare a leggere l'oggi
Di Giovanni Gelmini


Ricordo sul treno, quando facevo il pendolare, che una volta mi sono trovato vicino ad un gruppo di professoresse e che ce n'era una che si lamentava: “... pensa che non sapeva nemmeno quando è morto Napoleone...”. Mi chiedo come sarebbe cambiata la storia se Napoleone invece di morire il 5 maggio, fosse morto il 5 aprile o il 5 giugno? Questa non è la Storia, ma è la cultura da “Lascia o Raddoppia”.

La Storia è qualcosa che per me è appassionante, ma che è ben diversa da quella che mi hanno insegnato nelle scuole. Solo alle superiori ho incominciato a capire che la storia non è fatta da date, nascite e morti di personaggi da guardare ritratti e nei monumenti, da battaglie e guerre, ma che la Storia è l'evoluzione della società. I personaggi della storia non sono miti hollywoodiani, ma uomini con pregi, difetti e passioni.

Ecco che nelle mie lettura estive dedicate alla storia ho inserito questo libro, perché avevo intuito che parlava della storia in modo corretto, cercando di smitizzare, evitando i “luoghi comuni” della Storia che hanno infracidato l'insegnamento scolastico e ancora oggi, seppure in modo meno pesante, sono presenti ancora oggi. La Storia non può e non deve sottomettersi alle ideologie, anche se è ovvio che lo storico abbia delle sue ideologie e questo sarà sempre un limite alle sue analisi, ma è sufficiente che questo sia noto e chiaro.

Isnenghi non mi ha deluso. Nelle sue “dieci lezioni” provvede accuratamente alla smitizzazione dei personaggi che finalmente assumono un aspetto umano. Mette in chiaro i perché e i per come dell'Unità d'Italia, i pregi e i difetti.
Il fascismo si è appropriato del risorgimento e Isnenghi ridà alla storia d'Italia la dimensione vera, quella di evoluzione della società italiana, nell'800 elitaria e nel '900 come movimento di massa.

Riporto un passo che spiega come è costruito questo percorso:

    Il criterio con cui ho scritto questa Storia d'Italia è quello del caleidoscopio, è una storia di storie - è fatto così anche il capitolo sulla Grande guerra (La Grande guerra al caleidoscopio). Le storie me le sono andate a cercare nei testi e nei documenti, e ho scelto quelle che mi parevano corrispondere a una rappresentazione sintomatica complessiva di come sono andate veramente le cose. Cominciamo da Mussolini, a cui è dedicato il paragrafo Cambiare, ripartire: Benito Mussolini dall'Avanti» al «Popolo d'Italia». Era diventato direttore dell'«Avanti!» nel '12, al Congresso nazionale del Partito socialista di Reggio Emilia, in cui vengono espulsi i socialisti di estrema destra (Bissolati) - paradossalmente, perché l'intervento li riunisce dopo tre anni. Anche nel primo dopoguerra, di nuovo, ritorna questa strana coppia - Mussolini-Bissolati - con il famoso «no» gridato da Mussolini al Teatro alla Scala, mentre Bissolati sta facendo un discorso su Fiume e la Dalmazia che non gli va bene. Bivi della storia d'Italia personalizzati in singoli individui. Fino all'autunno del '14 il direttore dell'«Avanti!» conduce una strenua politica neutralista; l' «Avanti!» grida ogni giorno il suo orrore per la guerra. Il problema è il passaggio repentino dal neutralismo all'interventismo.
Lo sforzo che Isnenghi fa in questo saggio è di smitizzare la storia raccontata, renderla il più possibile storia vera e non c'è solo il mito degli eroi e dei martiri del Risorgimento da cancellare, ma con le guerre d'Africa e la seconda Guerra Mondiale troviamo il mito dell'italiano “buono e amato” e non è così e dice:
    Non è vero, perché le abbiamo anche date; non siamo stati tanto meno cattivi dei tedeschi. Certo, loro sono più quantitativi e l'hanno fatto in forma decisamente più pianificata, basti pensare anche solo ai numeri della persecuzione degli ebrei, e non c'è mica solo questa. Non è, insomma, che il comportamento degli italiani come colonialisti in Africa sia stato mite ed elegante, tanto meno in Jugoslavia. Ne abbiamo fatte di tutti i colori. Però, per tutto il secondo dopoguerra, abbiamo preferito mettere l'accento sulla malvagità intrinseca - oltre che politica - dei nazisti; mentre i fascisti, in quanto italiani, in fondo, sono pur sempre il popolo buono - perché eravamo sempre già sulla via del ritorno, e mai sulla via dell'andata; sempre tra il '42 e il '43 e mai nel '40.
Così ricorda che è stata mitizzata la ritirata dalla Russia, ma nessuno ricorda che per “ritirarsi” i nostri bravi alpini ci sono andati in Russia. Molto interessante la parte dedicata alla seconda Guerra Mondiale e la nascita del mito antifascista. Le sue considerazioni mi riportano alla mente quanto ricordava mia madre, che non era certo una studiosa di storia, ma una donna attenta a quello che la circondava; “non capisco perché prima della guerra c'erano le piazze piene ad applaudire Mussolini. Ricordo quando fece il discorso della 'dichiarazione di guerra' che nei caffè, dove il discorso veniva trasmesso con la radio, l'applauso della gente partì spontaneo... e poi dopo erano tutti antifascisti”.

Anche Isnenghi si pone questo problema e dedica a ciò buona parte della nona lezione, ponendosi anche la domanda sul significato della sconfitta e chiedendosi cosa sarebbe successo se avessimo vinto; domanda legittima, anche se con i “se” non si fa la storia.

L'ultima lezione è certamente la meno “storica”, ma è la sintesi delle nove lezioni precedenti e la base per una proiezione verso il futuro, proiezione che Isnenghi non pronuncia, ma che sembra restare la conseguenza personale della lettura di questo saggio.

Le linee su cui si articola sono molteplici.

Primo punto è l'evoluzione del concetto di Patria, che nel Risorgimento è patria e Italia unita. Per il fascismo patria nazione da far rispettare negli imperi. Infine quella che esce dalla resistenza: una patria con i compromessi dovuti a “cessioni di sovranità”. Per cessioni di sovranità non intende quelle esplicite e di ben poca rilevanza fatte con la creazione dell'Unione Europea, ma quelle implicite e spesso segrete dovute al trattato di Yalta, come anch'io avevo ipotizzato (Da Piazza Fontana all’Itavia ed oltre, cosa si nasconde?, Spaziodi Magazine, Anno II n° 19 dicembre 2006)
    Strada facendo, i segnali d'allarme rispetto alla cessione di sovranità quale riconoscimento costante dell'egemonia del paese-guida, gli Stati Uniti (tributo di cui le servitù militari non sono che l'epifenomeno), non sono di certo mancati (la strage della funivia del Cermis nel 1998, il rapimento su suolo italiano di Abu Ornar nel 2003 per mano della Cia, l'omicidio Calipari nel 2005, l'allargamento delle strutture aeroportuali del Dal Molin a Vicenza, deciso nel 2007, l'elicottero UH-60 Black Hawk decollato da Aviano che, precipitando, fece sei morti nel Trevigiano nel 2007 ... l'inquinamento da radionuclidi a ridosso di vari siti militari, come per i sommergibili a propulsione e munizionamento nucleare alla Maddalena ... per non allargare il discorso alla più com­plessa valutazione delle varie guerre preventive o punitive degli ultimi vent'anni, a rimorchio degli Usa: Iraq nel 1990-91, Serbia-Cossovo nel 1999, Afghanistan iniziata nel 2001, Iraq iniziata nel 2003, ora la Libia ... ).
È evidente che se i fascisti sono diventati sostenitori degli USA e della Gran Bretagna, quelli contro cui Mussolini lottava e che chiamava “demoplutocrazie” e che il Vaticano ha scoperto improvvisamente ammirazione per l'anima jankee rigidamente puritana e protestante, questo è stato possibile perché è cambiato il modo di pensare della società.

Il Vaticano, che ha dovuto digerire De Gasperi e Don Sturzo (n.d.r. e che forse oggi il clero rimpiange), è passato dalla opposizione strenua all'Italia dopo “Porta Pia”, all'accordo dei Patti Lateranensi e “all'ultimo 20 settembre: le alte gerarchie vaticane sono accorse a Porta Pia, accanto al nostro capo dello Stato, a «dir bene» del Risorgimento ...” con Napolitano... un ex comunista!
    Si è già avverato quel che sostenevano gli intransigenti di fine Ottocento: l'Italia è guelfa e clericale, e solo per qualche momento non lo è stata, durante il Risorgimento. Ma guelfa tornerà presto a esserlo - così dicevano sotto Pio IX, Leone XIII e Pio X. È quel che sostanzialmente è avvenuto.
Ma se questo è avvenuto sotto l'aspetto politico non è così sotto l'aspetto della società:
    Adesso, l'ultima ridotta del costume condizionato dai sacramenti è il funerale; sui funerali è dura scalzare queste convenzioni inveterate, non è tuttora agevole trovare un luogo non confessionale per la dipartita. Ma conta qualche cosa questa erosione del religioso -la secolarizzazione - negli effettivi comportamenti dei politici attuali? Nulla. È come se chiese e seminari fossero tuttora pieni.
Anche il ventennio di Berlusconi trova una spiegazione nella “storia” come una necessità di cambiamento.
Leggere certamente e alla fine, dopo quest'ultimo capitolo, ci viene certo da pensare cosa si sta preparando oggi in Italia; forse il “metodo Isnenghi” è il modo giusto di ragionare e, dopo la decima lezione, come è dovere in tutti i saggi, trovate nove pagine fitte fitte di bibliografia con riferimenti precisi alle parti del testo.

Dieci lezioni sull'Italia contemporanea. Da quando non eravamo ancora nazione... a quando facciamo fatica a rimanerlo
Di Mario Isnenghi
Prezzo di copertina € 18,50
Editore Donzelli
Anno pubblicazione 2011
Numero pagine 287
ISBN 9788860366641
Collana Virgola

Si può raccontare, in dieci lezioni, il "succo" di 150 anni di storia del nostro paese? Lo si può fare in modo facile, gustoso, accessibile, suscitando la curiosità e l'interesse del lettore, senza nulla perdere in fatto di precisione e di rigore? Un grande storico, Mario Isnenghi, raccoglie la sfida. Non accetta il pregiudizio per cui solo i giornalisti possano farsi capire dal grande pubblico, quando raccontano di storia. Non gli piace l'idea che gli storici abbiano bisogno di "supplenti". Perciò, dopo tanti libri di ricerca, giunto al termine della sua prestigiosa carriera di docente, decide di raccontare con brio e con passione dieci momenti essenziali, dieci questioni decisive del nostro passato, da quando non eravamo ancora una nazione... a quando facciamo una qualche fatica a rimanerlo. Nato da un esperimento di dialogo con il pubblico, in dieci incontri che i fortunati spettatori diretti ricordano come "memorabili", questo libro, per comune volontà dell'autore e dell'editore, si propone di "raccontare la storia", di presentarla alle giovani generazioni attraverso una scelta accurata degli argomenti, delle citazioni, dei linguaggi. L'autore non fa nulla per nascondere la sua posizione circa i fatti che racconta. Gli piace, l'Italia. La riconosce come un collante essenziale della nostra identità. E gli piace un'Italia laica e democratica, come non sempre è stata e come spesso rischia di non essere.



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