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Note di economia sulla “Tempesta perfetta”

Perché mai la crisi dovrebbe essere finita?

Se vi sono segnali di una ripresa, non si vedono motivi per affermare che la Crisi economica sia superata

Di Giovanni Gelmini

Cinque anni fa quasi tutti pensavano che la “crisi” fosse una cosa passeggera. Forse un poco più dura di altre, ma che ce l'avremmo fatta come al solito, con qualche invenzione da maschera di Commedia Dell'Arte. E invece no! Ci siamo ancora in mezzo.

Cinque anni non sono pochi. Credo che tutti abbiano ormai capito che questa è una crisi molto particolare: “La tempesta perfetta”, che può durare anche dieci anni e più, inframezzata da rivoluzione e guerre, a volte “Mondiali”.

Gli istituti economici hanno rilevato che negli ultimi mesi si possono leggere dei segnali di ripresa, come dicono loro di “inversione di tendenza”, fatto sicuramente vero, ma è la fine della crisi o una ripresa “congiunturale” dalla durata di un tempo limitato, magari solo una decina di mesi, ma senza soluzione del problema di fondo?

Per dare una risposta a questa domanda proviamo a cercare di capire da cosa è causata la “Tempesta perfetta”, quella crisi che un economista difficilmente conosce direttamente perché avviene ogni mezzo secolo circa.

Lo sviluppo continuo è possibile solo se c'è un aumento reale e continuo della produttività del sistema e, sottolineo, del sistema, non di un singolo componente del sistema economico, come la tanto incriminata produttività del lavoro.

Lo sviluppo tumultuoso della produttività si ha quando uno o più processi, che pervadono l'economia, modificano profondamente il modo di svolgimento del processo economico, in genere questo è legato al fattore energetico: il carbone e il suo utilizzo nel primo secolo dell'industrializzazione, l'energia elettrica e il petrolio nel secondo secolo.

Ora qual è il processo pervasivo che dovrebbe permettere l'uscita dalla crisi?

Io non lo vedo ancora delineato. Da quando insegnavo all'Università, sostengo, come molti economisti, che saremmo entrati in crisi per la fine dell'era del petrolio; allora la mia domanda è: “dove sono le fonti energetiche alternative?”
Ho sempre pensato che le rinnovabili saranno il futuro; la Cina investe moltissimo nella ricerca sulle rinnovabili, perché ha sete di energia e, forse, perché non è bloccata da lobby; non è così per il mondo occidentale e, ultimo tra i paesi che investono nelle rinnovabili, l'Italia. Sarà un caso, ma è proprio l'Italia che sentirà la “ripresina” in ritardo o forse non la sentirà affatto.

Per uscire dalla crisi, oltre l'energia a basso costo, occorre innovazione, che vuol dire investimenti mirati al nuovo e rischiosi come tutto quello che è “nuovo”. Nelle crisi di questo tipo, Keynes ci ha insegnato, che occorre che lo Stato investa nell'innovazione e sostenga i meno abbienti. Questo si può fare usando la leva del “debito pubblico”, ma, se nei decenni passati questa è stata usata per sostenere i consumi del potere e dei suoi amici, come è avvenuto in Italia, oggi è esaurita e non non è più disponibile. Per applicare una politica keynsiana si devono ridurre non le tasse, ma lo spreco pubblico e privato. La riduzione di pochi percentuali di “spreco” di soldi pubblici, indirizzati a investimenti reali e veloci (non il Ponte di Messina & C), può rilanciare l'ottimismo nell'economia e l'ottimismo è il lubrificante necessario perché i privati tornino ad investire a rischio e far ripartire così il grande ciclo che vede nella “tempesta perfetta” il suo minimo.

Argomenti:   #crisi ,        #economia ,        #italia ,        #mondo



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