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Testo integrale 11 Dicembre 2013 - L'intervento di Letta, alla Camera dei Deputati |
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Signora Presidente,
Onorevoli Colleghi, sono qui oggi per chiedere il voto di fiducia per un nuovo inizio. Con obiettivi realizzabili e tempi certi. Soprattutto con la determinazione a lottare con tutto me stesso per evitare di rigettare nel caos il Paese proprio nel momento in cui esso è in grado di rialzarsi. È vero: l’Italia è oggi una società fragile e stordita dalla crisi. È però, nello stesso tempo, una società pronta dopo tanti sacrifici a ripartire. È nostro compito – anzi, è il nostro obbligo, anche generazionale – guidarla nella ricostruzione. Essere qui è per me un privilegio e un dovere insieme. Perché questo è il Parlamento della Repubblica. Perché le istituzioni esigono rispetto. Lo esigono sempre e lo esigono a maggior ragione in un tempo così amaro, nel quale sempre più spesso si tenta di immiserire quest’Aula con parole e azioni “illegittime”. Sì, illegittime. Sono parole e azione figlie di una cultura politica che mette all’indice i giornalisti, avalla la violenza, vuol fare macerie degli edifici stessi della democrazia rappresentativa, arriva a incitare all’insubordinazione le forze dell’ordine. Forze dell’ordine che invece io qui voglio ringraziare davanti a voi e al Paese per la fedeltà indiscutibile ai valori repubblicani – valori per difendere i quali è nata questa nostra democrazia – che dimostrano ogni giorno. il 2 ottobre, a dispetto del voto finale, mi sono rivolto direttamente a una nuova maggioranza politica a sostegno dell’esecutivo che presiedo. Una maggioranza meno “larga” nei numeri, più coesa negli intenti. Una maggioranza che ha dimostrato di essere tale con il voto di fiducia al Senato sulla Legge di Stabilità. Oggi ciò che vi chiedo è di confermare quella fiducia. Per segnare, anche formalmente, una discontinuità. Per distinguere per bene tra un “prima” e un “dopo”. Il “prima” lo conoscete, lo conosciamo. Rivendico la positività dell’esperienza di questi mesi e l’impegno a lavorare con dedizione, nonostante le intimidazioni quotidiane, gli aut-aut, le minacce dalle quali ho scelto di tenere per quanto possibile il governo al riparo. Lo rivendico perché ho sempre considerato questa esperienza come il passaggio da una situazione di contrapposizione tossica tra nemici a un sistema di competizione sana tra avversari. Un passaggio obbligato dall’esito del voto di febbraio, ma soprattutto dalla necessità – che io giudico, oggi più che allora, ineludibile – di archiviare un “ventennio sprecato”. Fatta eccezione per alcune importanti realizzazioni, l’ingresso nell’euro tra queste, sono state, infatti, troppe le occasioni mancate. Sprecata l’opportunità di riformare noi stessi, la politica, le istituzioni. Sprecata la chance di invertire il declino dell’economia italiana prima che la crisi intervenisse, come un uragano, a sconvolgere la vita dei cittadini, delle famiglie, delle imprese. Il nostro alibi è stato il conflitto, apparentemente insanabile, tra due Italie, ma il costo di questo alibi si è rivelato altissimo per tutti gli italiani, condannando le istituzioni all’impotenza. Delle responsabilità di questo fallimento ho parlato nel mio discorso di aprile. Nessuno può dirsi assolto. Perché non si è riusciti, da una parte o dall’altra, a resistere alla tentazione di qualificarsi sempre e solo per contrasto. Perché alla ricerca, paziente e faticosa, delle soluzioni utili all'Italia si sono preferite le scorciatoie, gli slogan, il consenso qui e ora. Il governo che presiedo è nato dall'impegno della maggioranza parlamentare a superare questi vizi e a distinguere temporaneamente le politiche dalla politica. Malgrado le diffidenze reciproche e le infinite ferite del passato, penso che in molti abbiano vissuto con genuina convinzione questo impegno. La scorsa estate alla missione stessa di servizio al Paese si è tentato di anteporre una questione sola, tanto da utilizzarla come condizione ultimativa rispetto alla vita dell’esecutivo. Nella vicenda giudiziaria di Silvio Berlusconi non sono entrato in questi mesi e non entro oggi. Accettando l'incarico dalle mani del capo dello Stato, Giorgio Napolitano – cui va ogni giorno, oltre che la mia gratitudine personale, il ringraziamento per il sacrificio con cui adempie, in condizioni difficili, all'incarico cui questo Parlamento l'ha impegnato per la seconda volta a larghissima maggioranza – avevo però detto che il mio non sarebbe stato un “governo a tutti i costi”. Non è stato un “governo a tutti i costi”. Avevo detto che il rispetto per la separazione tra poteri dello Stato, e per la loro piena autonomia, era il limite da non oltrepassare. Quel limite non è stato oltrepassato. Tutto ciò l’ho deciso anche prendendomi il rischio di andare a casa. Ed è per questo che oggi sento più forza. Sento che dobbiamo usarla. Sento che dobbiamo usarla al meglio. Dunque, a dispetto di chi dice che non cambia mai niente, la trasformazione politica determinatasi in questi 7 mesi è di gran lunga la più radicale di tutta la seconda Repubblica. C'è stato un prima. Ci sarà un dopo. E il “dopo” è una storia nuova da scrivere. Può e deve farlo una leadership politica ringiovanita di alcuni decenni in soli pochi mesi e legittimata grazie a coraggio e partecipazione, da una parte e dall'altra di quest’Aula. Può e deve farlo il Parlamento, pena la condanna all'ingovernabilità perenne, alla paralisi, al caos simile o addirittura peggiore di quello vissuto nei due mesi di limbo che hanno separato il voto di febbraio dalla rielezione del presidente della Repubblica. Per sventare questo rischio vi chiedo di impegnarci insieme. Molti degli obiettivi cui farò riferimento oggi sono in effetti il frutto di una base di consenso comune maturata a partire dalla fiducia iniziale e dalle successive evoluzioni. Li porteremo, quindi, avanti speditamente. Oggi, però, la coalizione è diversa e più unita. Ci sono, dunque, le condizioni per definire, nelle prossime settimane, un patto di governo tra chi sceglie di concederci la fiducia. Un patto che voglio chiamare “Impegno 2014". Questa discussione all’interno della maggioranza declinerà in modo più definito i punti sui quali oggi vi chiedo la fiducia. Ma per essere chiari il nuovo inizio è oggi. Gli approfondimenti che faremo nella maggioranza non saranno occasioni per rimettere in discussione i punti cardinali del lavoro per il 2004 che non sono nel discorso sul quale vi sto chiedendo la fiducia. L’impegno è quello che assumiamo con l’Italia prima che tra di noi. Comporta un'articolazione più collegiale tra i nuovi gruppi parlamentari della maggioranza. Comporta affidamento, cioè fiducia reciproca. Comporta rispetto e linearità. Nei mesi scorsi non c'erano le condizioni per dar seguito a una proposta di tenore simile che mi aveva rivolto il senatore Monti. Ne dovetti prendere atto a malincuore. Oggi queste condizioni ci sono e aiutano senz’altro le sollecitazioni, che mi paiono peraltro componibili, espresse dai leader del PD e del Nuovo Centro Destra e dai gruppi parlamentari “Scelta civica” e “Per L’Italia”. Per una democrazia più forte e solida: le riforme e la legge elettorale Onorevoli Colleghi, il grande obiettivo – entro il quadro temporale dei 18 mesi – è avere istituzioni che funzionino e una democrazia più forte e solida. In questo le riforme occupano il primo posto non solo perché, proprio senza istituzioni credibili ed efficaci, è immiserita ogni azione di governo, ma perché la sentenza della Consulta, che ci ha liberato dalla peggiore legge elettorale d’Europa, impone di trovare soluzioni al più presto. L’urgenza e il nuovo quadro politico ci inducono al realismo. La scelta di Forza Italia di non garantire il sostegno al percorso rafforzato di riforma costituzionale, che era giunto proprio alla soglia dell'ultimo passaggio parlamentare, obbliga a una onesta presa d'atto della necessità di cambiare percorso per evitare una dilazione dei tempi. Un allungamento che sarebbe errore capitale. Dobbiamo arrivare al risultato. Per questo propongo che si lavori sulla procedura dell'attuale articolo 138 della Costituzione e che ci si concentri su quattro obiettivi di cambiamento.
Secondo. Finalmente sono state cancellate le liste bloccate, negazione di ogni criterio di merito e rappresentanza, inno alla cooptazione. È fondamentale ora facilitare le scelte dei cittadini e creare un legame, il più diretto possibile, tra elettori e il loro eletto. Nessuno, noi per primi, pensi a una legge elettorale punitiva nei confronti di altri. Governo, maggioranza e Parlamento tutto lavorino nelle prossime settimane per dare pronta attuazione al pronunciamento della Consulta e restituire ai cittadini lo scettro, vale a dire, il diritto di scegliere chi li rappresenta e chi li governa. Anche sull'abolizione del finanziamento pubblico dei partiti dobbiamo arrivare alla parola fine, esattamente come è avvenuto, da subito, con l’eliminazione del doppio stipendio dei parlamentari membri del governo. L'avevo promesso nel discorso di nascita dell'esecutivo e l’abbiamo fatto. Sull’abolizione del finanziamento pubblico ho ripetuto più volte che con la collaborazione tra governo e Parlamento si sarebbe potuta chiudere entro l'anno una questione il cui infinito trascinarsi fa giustamente infuriare l'opinione pubblica, in modo trasversale. Il governo ha approvato la proposta poi migliorata e licenziata da un ramo del Parlamento. Tuttavia, troppi sono i mesi passati dal varo in Consiglio dei Ministri. Per questo confermo qui la mia volontà a completare definitivamente la vicenda entro l'anno. L’Italia che si rialza: 5 obiettivi per il 2014
Siamo l’unico grande Paese d’Europa, con la Germania, sotto il 3% di deficit. Il surplus primario, cioè la spesa al netto degli interessi, è al 2.5% e siamo quindi, sempre assieme alla Germania, i più virtuosi in Europa. È vero: abbiamo un debito pubblico colossale. Lo stiamo aggredendo: inizierà a scendere nel 2014. È importante perché ce lo chiede l’Europa? Sì, anche. Ma soprattutto è fondamentale perché un debito pubblico così alto in rapporto al PIL ci costa troppo: quest’anno spenderemo quasi 90 miliardi di euro in interessi. 90 miliardi di euro: quanto una decina di leggi di stabilità. Soldi buttati. Qui in Parlamento ci accapigliamo per qualche milione, immaginate cosa potremmo fare anche solo con un quarto di quei 90 miliardi. Ora – fermi restando gli indicatori virtuosi che vi ho detto e che devono assolutamente restare tali – è il tempo delle azioni sull’economia reale: per i lavoratori, gli artigiani, gli imprenditori, i professionisti, i commercianti, i ricercatori. Intanto sono già operativi gli strumenti messi a punto dal governo. Chi vuole investire sui macchinari e sulle dotazioni tecnologiche, grazie alla nuova legge Sabatini, può farlo, abbattendo gli interessi sul finanziamento e con una garanzia statale. Chi vuole assumere un giovane disoccupato può farlo con l’incentivazione straordinaria della decontribuzione totale. Già quindi un primo segno su quella strada di riduzione delle tasse sul lavoro che abbiamo intrapreso in Legge di Stabilità e che rafforzeremo ulteriormente. Chi vuole dare un impiego a una persona di qualsiasi età uscita da cicli produttivi in difficoltà, può farlo beneficiando, dal momento dell’assunzione, dell’ammortizzatore sociale residuo. Chi vuole ristrutturare con criteri ecocompatibili ora lo può fare con uno sconto fiscale mai così alto. E sulla casa voglio anche sottolineare i fondi messi a sostegno della morosità incolpevole delle giovani coppie e dei lavoratori precari. Potrei continuare. So però che bisogna fare di più. Partendo da una priorità ineludibile: il soccorso per quegli italiani che la crisi ha esposto a livelli di vulnerabilità mai toccati. I disoccupati le cui famiglie scivolano verso la povertà; gli esodati per i quali le risposte, pure parzialmente arrivate, sono ancora incomplete; i giovani frustrati nel non trovare un impiego; gli anziani e i pensionati per i quali le prime misure per la non autosufficienza contenute nella Legge di Stabilità sono necessariamente da rafforzare; le indicizzazioni delle pensioni da estendere; i disabili per i quali si è operata un'inversione di tendenza su alcune voci di spesa sociale che andranno rafforzate l'anno prossimo. Sempre l’anno prossimo vogliamo e possiamo sperimentare nuovi strumenti di sostegno per l'inclusione attiva previsti nelle riforme di questi mesi. Dobbiamo far sì che funzionino bene e siano estesi in modo strutturale dal 2015. Il tutto con una attenzione ossessiva ma evidentemente selettiva, al Mezzogiorno dove i problemi di esclusione, scoramento, rabbia esplodono se non gli si danno risposte immediate e mirate, al di là delle belle analisi sulla questione meridionale. Allo stesso modo, nel 2014 completeremo la riforma degli ammortizzatori sociali. Vanno disegnati meglio ed estesi a chi vive l'estrema vulnerabilità personale e familiare generata dalla chiusura di tante aziende, piccole e grandi. In un clima di dialogo sociale si deve andare verso un sistema che privilegi il lavoratore rispetto al posto di lavoro. Nessuno deve restare indietro, nessuno deve avvertire il senso freddo della solitudine. Vi chiedo di rilanciare insieme la forza della comunità, il ruolo dei corpi intermedi, dell'associazionismo, del volontariato. La forza, economica e di competitività, delle donne che oggi non valorizziamo come dovremmo e, soprattutto, come servirebbe. Per questo, dopo aver attivato le forme di incentivazione previste dalle misure sull’occupazione femminile, il 2014 sarà l’anno delle misure sulla conciliazione tra lavoro e famiglia alle quali stiamo già agendo da tempo. L’Italia è e deve essere una “comunità”, non mi stancherò mai di ripeterlo. È capacità d’impresa, innovazione, dedizione, fierezza del lavoro. Siamo la quinta potenza manifatturiera del mondo, la seconda in Europa. Tra le prime 20 filiere industriali in Europa, 10 sono tedesche, ma 6 sono italiane. Abbiamo la seconda agricoltura europea per valore aggiunto. Il nostro export cresce, si rinnova e trova nuovi mercati: siamo uno dei pochi grandi paesi al mondo a presentare stabilmente un surplus commerciale strutturale nel manifatturiero. Stiamo reagendo. Non dobbiamo rinunciare a usare i nostri talenti, e in particolare le tre risorse più importanti. Primo, il nostro capitale umano, cioè le persone, puntando sAnzitutto, un piano – da attuare entro marzo – di interventi incisivi per rilanciare l’università e la ricerca, mettendo al centro gli studenti e la qualitàull’istruzione dei giovani e sulla ricerca. Secondo, la bellezza e la cultura, puntando sul turismo, sull’ambiente, sulla grande occasione dell’Expo, sulla vitalità e la creatività. Terzo, le imprese. È vero che abbiamo perso in questo ventennio molta capacità industriale, anche nei servizi, ma molta ce n’è ancora. E molta possiamo recuperarne. Partiamo dalle ragazze e dai ragazzi. Il 1° gennaio prende avvio la “Garanzia per i Giovani”, il nuovo strumento europeo che a giugno è stato approvato. Per l’Italia è una grande sfida. Tutto è pronto, ora va attuato. Abbiamo riportato istruzione e ricerca in cima alle priorità del governo: prima con il decreto “L’istruzione riparte” e, nei prossimi mesi, con tre impegni concreti. del sistema: potenziamento della valutazione, nuove regole per il finanziamento degli atenei e la contribuzione studentesca, costo standard per studente, diritto allo studio. In secondo luogo, una costituente della scuola, da concludere entro giugno, per adottare interventi con obiettivi precisi: i ragazzi devono diplomarsi prima, con competenze migliori e un orientamento più chiaro sulle future scelte professionali e di formazione superiore; gli insegnanti devono avere opportunità di formazione adeguate e regole di reclutamento e carriera stabili, basate su trasparenza e merito. Il ciclo di istruzione deve iniziare per tutti con la scuola dell’infanzia, che è un diritto dei bambini e uno strumento per favorire la conciliazione famiglia-lavoro e le pari opportunità. Infine, i giovani ricercatori. Dopo aver portato il turn-over al 50%, dobbiamo andare avanti su questa strada. La burocrazia non può ingabbiare l’autonomia dei ricercatori e la loro vocazione internazionale: con questo spirito, nel nostro semestre di presidenza lavoreremo per promuovere la mobilità dei ricercatori e completare l’area europea della ricerca. Secondo aspetto: la bellezza come grande risorsa economica. Proseguiremo nell’azione avviata, confermando l’impegno a investire sulla cultura. A gennaio arriverà poi in Consiglio dei ministri il decreto per rilanciare il turismo. Sempre a gennaio, in linea con il decreto “Valore Cultura” già varato, sarà lanciato il bando per il progetto annuale “Cultura Capitale” che il 27 maggio – anniversario della strage dei Georgofili – culminerà con la designazione della prima capitale italiana della cultura per l’anno 2015. Strettamente legati a questi temi ci sono, naturalmente, l’ambiente e la tutela del paesaggio. Dobbiamo scegliere la strada della prevenzione, dell'efficienza, della lotta agli sprechi, della sostenibilità. Dobbiamo aumentare gli investimenti contro il dissesto a partire da una migliore capacità di spesa dei fondi già disponibili; allo stesso tempo dobbiamo semplificare le procedure per realizzare presto e bene gli interventi come previsto nell’Agenda verde, il collegato ambientale alla Legge di Stabilità; bisogna approvare il disegno di legge per il contenimento del consumo del suolo. Le imprese. Mettiamo al centro della nostra azione economica la competitività. Un fattore importante è la riduzione del costo del lavoro. Abbiamo cominciato ad affrontarla con la Legge di Stabilità. Il Parlamento ci ha impegnato a impiegare nella ulteriore riduzione del costo del lavoro i proventi della revisione della spesa e del ritorno dei capitali dall’estero. Inseriremo questo automatismo nell’ultimo passaggio della Legge di Stabilità, dopo averlo discusso con le parti sociali. “Destinazione Italia”, il piano per l’attrazione degli investimenti e il rilancio della competitività, sarà invece venerdì in approvazione definitiva in Consiglio dei Ministri. Vogliamo dare agli investitori e agli imprenditori certezza delle procedure, certezza dei tempi (anche della giustizia), certezza del fisco. Il tutto per abolire o semplificare procedure inutili e per modernizzare l’intera Pubblica Amministrazione. All’interno del Piano ci saranno un credito d’imposta per la ricerca e fondi per incentivare la digitalizzazione delle PMI. Per difendere il made in Italy di vecchia e nuova generazione è fondamentale avere accesso ai mercati in maniera libera e giusta. Per questo abbiamo lavorato a livello europeo per spingere sugli accordi del WTO e sull’accordo commerciale con il Canada recentemente firmati. Vogliamo concludere presto quello con gli Stati Uniti, il TTIP, nel secondo semestre 2014 sotto la nostra Presidenza dell’Unione. Da questo accordo trarranno beneficio soprattutto le piccole e medie imprese. Il TTIP è l’occasione per lanciare un grande mercato comune transatlantico, sulle orme del mercato comune europeo. Il mercato unico ha fatto ricca l’Europa. Ugualmente il TTIP sarà uno stimolo importante per le economie europea e americane. Ancora, venerdì interverremo con “Destinazione Italia” anche su un altro dei fattori frenanti della competitività, ovvero l’alto costo dell’energia. Una riduzione di 600 milioni sulle bollette che si somma a quella già prevista dal decreto “Fare”. Per rilanciare la competitività del nostro sistema c'è anche bisogno che lo Stato in alcuni campi sia in grado di giocare bene il proprio ruolo. Non certo alla vecchia maniera, ma con un uso efficace e moderno dei nuovi strumenti in campo e con una riflessione a largo spettro per evitare di perdere asset preziosi e per concentrare risorse su operazioni di sistema e opportunità da non perdere, sia a casa, sia sui mercati europei ed esteri. Su questo mi aspetto importanti contributi dalla discussione su "impegno 2014". A complemento della Legge di Stabilità e di Destinazione Italia il governo ha poi lanciato – lo sapete – un piano di privatizzazioni. Il primo blocco già presentato vale tra i 10 e i 12 miliardi di euro che andranno in gran parte a riduzione del debito. Lo sappiamo: è un tema sensibile perché troppi sono stati gli errori del passato. Però voglio rassicurarvi: nessuno di noi si sogna di svendere per fare cassa. Io credo profondamente nel ruolo dello Stato, ma credo anche che lo Stato per essere credibile e funzionante non debba occuparsi di tutto. L’arrivo di capitali privati può essere il momento di svolta per iniettare risorse fresche, rilanciare la produzione, garantire lo sviluppo delle aziende coinvolte. È il caso, ad esempio, di Fincantieri e di SACE, che trarranno dalla valorizzazione risorse fresche per il loro sviluppo. Il prossimo anno, nell’ambito del secondo tempo di questo piano di dismissioni – e attenzione: stiamo parlando di quote non di controllo –, studieremo con l’azienda e con i sindacati l’apertura del capitale di Poste e di altre aziende e la partecipazione dei lavoratori all’azionariato, permettendo loro rappresentanza negli organi societari. È un’esperienza unica, un tentativo – quello di sperimentare in Italia la Mitbestimmung tedesca – destinato a influenzare in meglio le relazioni industriali e il modello di impresa nel nostro Paese. Infine, l’apertura dei mercati, le infrastrutture, la tutela dei consumatori. A questo riguardo occorre proseguire sulla strada di una maggiore apertura, anche attraverso la presentazione presto dell’annuale legge sulla Concorrenza. Il cronoprogramma delle liberalizzazioni comincia comunque questo mese, con l'entrata in attività dell'Autorità di regolazione dei trasporti, uno dei settori chiave per la nostra economia. Diventerà operativa il prossimo 19 dicembre, un fatto che testimonia la serietà della nostra azione a garanzia del sistema delle regole per gli investitori italiani e stranieri e a tutela dei diritti degli utenti e della qualità del servizio pubblico. Nel 2014 presenteremo il piano nazionale dei porti e degli aeroporti, che individui le priorità del Paese. Oggi queste strutture agiscono in concorrenza tra loro senza programmazione né sinergia. Ma è una grande operazione nazionale che dobbiamo fare, di politica industriale strategica. Sulle infrastrutture, proseguiremo nel finanziare opere e progetti immediatamente cantierabili o in corso di ultimazione, una rimodulazione della spesa che consente di avere miglioramenti continui, in tempi brevi, a servizio di tutto il sistema produttivo. Infine, sempre nel prossimo Consiglio dei Ministri, in tema di tutela della concorrenza e apertura dei mercati, partiremo dal settore assicurativo con un intervento in grado di far scendere, e sensibilmente, le tariffe dell’Rc Auto. Lo Stato deve fare la sua parte Onorevoli Colleghi, Onorevoli colleghi,
Vogliamo ridisegnare una strategia economica per l’Europa che dopo l’austerity punti su innovazione, spazio europeo della ricerca, tecnologie verdi, investimenti nei settori e nelle competenze del futuro, politiche per manifatturiero. L’Europa esce dalla trappola della stagnazione solo se torna a crescere. Vogliamo parlare dell’Europa che guarda al mondo dopo anni di introversione.
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