A volte, quando un intoppo cambia il programma dell’evento, esce qualcosa di imprevisto che è altrettanto interessante o addirittura migliore, come è successo negli anni ’60 per un concerto di Giorgio Gaslini con Gioventù Musicale o come è successo giovedì 11 scorso, alla lezione di “Novecento in Dialogo”, in cui Roberta Valtorta e Uliano Lucas avrebbero dovuto discutere il tema “Il Novecento tra storia e fotografia”, cioè la lettura del Novecento, attraverso la lente della fotografia secondo il punto di vista di due professioni diverse: la storica e critica della fotografia e il fotoreporter.
L’assenza quasi improvvisa di Roberta Valtorta, che speriamo di incontrare in un’altra occasione, ha modificato il programma e ha lasciato lo spazio a Uliano Lucas di raccontare la sua esperienza e le sue preoccupazioni di oggi, fornendoci così lo spunto per molteplici considerazioni e qui, come ho già fatto per la scorsa lezione, ne affronterò alcune. Tutte è impossibile e non farò un racconto di quanto detto perché qui
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Da sempre c’è una grande discussione se la fotografia può essere considerata arte o documento; mi è piaciuta una definizione, che taglia la testa al toro, data da Roberta Frigeni, la direttrice scientifica del Museo delle Storie: “la fotografia è un modo di comunicare come altri”.
Quindi dipende da chi la usa e cosa ci mette. Successivamente Lucas negherà anche il binomio arte o documento, inserendo quello che è stato il suo percorso: il foto-racconto o foto giornalismo.
Ora vorrei concentrarmi su cosa dobbiamo intendere per foto-racconto come Lucas ce l’ha ben raccontato.
La prima volta me ne hanno parlato nel 1962 all’AFB, avevo pensato a qualcosa tipo Grand Hotel, un foto-fumetto rosa che andava allora in voga tra le donne, e, ovviamente, ho subito scoperto che era tutt’altro e me ne sono innamorato. Ma cosa è?
Dai discorsi di Lucas si comprende che è, innanzitutto, un lavoro intellettuale. Si parte dall’osservazione di una realtà: un approfondito studio che sfocia in scatti fotografici di ciò che si è individuato come “importante” da raccontare. Riprendendo le parole dette da Lucas: “Ogni foto richiama un’altra foto, è un copiarsi, ma poi devi costruire il reportage.” Un lavoro di sintesi non facile.
Lavoro quindi giornalistico, ma che è anche un lavoro di documentazione storica di quello che si vede.
Allora domanda retorica: perché Lucas afferma che non è un “documento”?
Perché un autore ci mette l’anima, il suo sentimento. Se due fotoreporter fanno lo stesso servizio usciranno due reportage diversi perché diverse sono le personalità e diversa è la loro cultura, quindi la loro attenzione ai particolari e il modo di inquadrare.
Come ormai diciamo da un po’ non c’è la Storia ma “le storie”: ogni reporter fa la sua storia.
Il reportage è da leggere come un libro e per leggerlo bene bisogna conoscere innanzitutto chi l’ha scritto: il fotografo; cosa pensa e la sua sintassi dell’immagine. Solo così si può usare un reportage, non si può estrare una foto singola perché se ne altera il significato, che è invece connesso all’insieme delle immagini.
Come da sempre sostengo, e mi sembra che Lucas la pensi come me, la fotografia non è oggettiva, ma soggettiva, perché frutto dell’attenzione del fotografo a certe situazioni, oltre al fatto che la foto può benissimo essere falsa, artefatta ad hoc. Solo sapendo chi l’ha scattata, dove e perché, si riesce a dare un peso storico all’immagine.
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Un esempio di "fotografia artistica" come la si intendeva una volta – Antonio Gelmini, foto premiata, 1934
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A questo punto però si arriva ad una apparente contraddizione di quanto detto all’inizio.
Abbiamo visto che il racconto fotografico o reportage è un’opera intellettuale, che pretende uno studio di quello che si vuole rappresentare, una conoscenza e una capacità tecnica; lo scatto non è casuale, ma ordinato in una sequenza espressiva. Ma perché allora questa non può essere “arte”?
Certo un’arte ben diversa dalla foto d’arte e dalla pittura, ma più vicina alla letteratura; però sempre arte.
Lucas ci ha offerto la sua lunga esperienza e tanti altri argomenti di riflessione, ma per chiudere vorrei richiamare l’ultima parte della chiacchierata, quando Roberta Frigeni ha posto la domanda clou per chi ha in gestione l’archivio fotografico della Fondazione Sestini con oltre 800.000 negativi, oltre ovviamente ai vari musei storici, e sta preparando, con il progetto Cantiere Novecento, il museo del novecento: “ L’ingresso della fotografia nei musei”
Forse Lucas non si aspettava una simile domanda, infatti la sua risposta è complessa che, credo, possa ben espressa in: “…
devo dire che entrare in un museo, mi spaventerei…”, ma, tenendo conto di tutto quanto già detto, credo che la risposta giusta sia: “… la foto non può essere estrapolata dall’insieme, se fa parte di un racconto, non può essere estrapolata e messa da sola. Non può entrare nei musei, ma in centri di fotografia. La foto deve raccontare.”
Credo che sia giusto il concetto che la foto va raccolta in modo corretto e che rispetti tutte le regole atte a leggerne il significato e a permettere anche l’inquadramento storico; ma rinunciare ad essa nella documentazione museale dall’800 in poi mi sembra eccessivo perché, se ben usata, è uno strumento formidabile di comunicazione.
Deve essere chiaro che il Museo Storico non può essere più una cristallizzazione, come è stato nel passato, qualcosa che resta immutabile per decenni e decenni, paventata da Lucas (n.d.r. come in effetti non lo è più), ma deve contenere elementi di vitalità e, oltre a illustrare momenti della storia, deve stimolare l’approfondimento.
Mi sembra opportuno chiudere parlando di Uliano Lucas, una persona di grande cultura che si definisce “autodidatta”, che si è formato al Gaimaica, bar vicino a Brera e centro di ritrovo degli artisti, letterati e fotografi, e “precario” in quanto Free-lance e volutamente indipendente, che fugge se il rapporto con la committenza non è libero e rispettoso. Per conoscerlo meglio c’è il suo sito http://www.ulianolucas.it/
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