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 Anno I n° 2 del 23/06/2005    -   LENTE DI INGRADIMENTO


La scuola è un elemento portante per lo sviluppo del Paese, ma nessuno agisce come si dovrebbe
Riforme sempre più disastrose distruggono la scuola Italiana
Dalla riforma Bosco del ’62 tutti gli interventi non hanno intaccato la incontrollabilità della scuola, così la qualità peggiora in continuazione
Di Giovanni Gelmini


La scuola, un nodo che sembra irrisolvibile, ma che è necessario si risolva, anche se sembra che nessuno abbia il coraggio di intervenire!
Troppi errori , troppe riforme sbagliate. Ma dove sono le cause di tanti errori e disaffezioni?
Cerco di capire partendo dalla mia esperienza di studente prima, genitore poi e infine docente.
La prima riforma che ho vissuto è stata la riforma Bosco, quella della media unificata. Una buona riforma, ma fatta malissimo. Da lì i problemi della scuola si sono aggravati.
La riforma è partita senza una preparazione; dopo una lunga incubazione nei meandri del ministero, ad anno scolastico iniziato. Ricordo che in quella occasione per la prima volta noi studenti abbiamo bloccato tutte le scuole di Bergamo per una settimana senza occupare, ma facendo cortei e manifestando davanti alla Prefettura e al Provveditorato tutti i giorni.
Dopo una settimana finalmente i professori sapevano cosa fare. Infatti la riforma aveva cambiato completamente la programmazione. Insegnamenti previsti, di cui avevamo già i testi, erano stati annullati e inseriti nuovi insegnamenti, di cui non esistevano i testi. Questo è quello che ho vissuto io, ma la cosa più grave è che con quella riforma è stata introdotta una quantità di docenti impreparati, moltissimi ancora studenti universitari. Così è iniziata la saga dei precari nella scuola. Il concetto della riforma Gentile di affidare al “titolo di laurea” la capacità di insegnare ha trovato qui il suo limite. La professionalità di un insegnante non è nell’essere esperto della materia, ma nel saperla insegnare.
Le due cose sono state perniciose, ma non avrebbero avuto un effetto deleterio se non ci fosse un altro elemento ancora più grave: “il diritto a insegnare” e quindi nessun controllo sulle capacità reali, che purtroppo in molti casi vengono meno col tempo o addirittura non esistono in partenza. Giusto per la cronaca conosco perfino il caso di insegnanti di inglese che non conosce questa lingua! Questo concetto di intoccabilità sembra innato nella classe insegnante al punto da credere che i padri della costituzione, nello scriverla, abbiano pensato che la libertà di insegnamento, che hanno garantito, volesse indicare la loro libertà di fare quello che volevano in classe. Che presunzione,che arroganza pensare di essere oggetto di garanzia costituzionale specifica. Ma da qui partono i mali della scuola e se non si risolve questo, la scuola continuerà a perdere colpi diventando, se già non lo è, una labirinto burocratico inutile e dannoso.
Ecco che infatti la scuola è proprietà degli insegnanti, sono loro a comandare nei Consigli di Istituto, nulla si può fare se il Collegio Docenti non approva. Spesso addirittura i Collegi Docenti si appropriano delle competenze del Consiglio di Istituto. E questo mostra, tra le altre cose, la grave inutilità degli organi dei decreti delegati: spesso perdi tempo, senza poteri reali.
Purtroppo per una riforma vera si deve intaccare la posizione della classe insegnante, altrimenti non si ottiene nulla e lo si è visto con la riforma Berlinguer e lo si vedrà con quella della Moratti.

Provo a indicare il più grave difetto che, dalla mia esperienza universitaria ho riscontrato nella riforma Berliguer, e, se è stato fatto così, è solo per lo stupido arroccamento della classe docente da entrambe le parti, Istituti Superiori e Università. L’equiparazione dei titoli di studio a livello internazionale e le richieste degli imprenditori imponevano il termine del livello minimo universitario a 23-24 anni. Ma non si è voluto, o credo più correttamente potuto, mettere mano a tutto il percorso didattico facendo terminare la scuola superiore a 16 anni, eliminando completamente gli istituti tecnici o dando loro una diversa collocazione. Dai 16 ai 23 anni c’era tutto il tempo di formare dei tecnici preparati e di buon livello. Ora invece l’università in un triennio risulta compressa, ha difficoltà a predisporre un percorso completo ed efficace, in compenso chi arriva dagli Istituti tecnici ha già una preparazione specifica, non eccezionale, spesso lacunosa nei metodi, che diventa difficile da superare, ma manca completamente delle basi culturali necessarie per svolgere una professione di alto livello, che l’università non è chiamata a fornire. Risultato: la qualità si è ancora una volta abbassata senza ridurre i costi reali e sociali del sistema scolastico.



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