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 Anno I n° 3 del 07/07/2005    -   LENTE DI INGRADIMENTO


Riforma Universitaria
Grande discussione sui Ricercatori Universitari: ma dove si va?
Forse c’è una grande confusione tra ricerca e docenza, ma alla fine la lotta è probabilmente solo per il posto sicuro.
Di Giovanni Gelmini


Il problema dei Ricercatori Universitari è decisamente un bel problema. Ho cercato di leggere decreti, leggi, comunicati stampa e , dopo una vita dedicata alla ricerca, sono giunto ad una conclusione: “tutte balle”!

C’è una confusione di base tra le competenze, le attitudini e le esigenze necessarie, e non credo che tutto sia casuale. Si parte dal presupposto, mai dimostrato, che un ricercatore debba essere un buon docente. Questa affermazione forse poteva essere valida nelle università fatte da pochi, prima che diventassero una scuola di massa: intendo, per essere chiari, le università di almeno un secolo fa. Allora io non c’ero e non posso dire nulla, sicuramente quella impostazione non era già più valida nell’Università che ho frequentato, prima del ’68, e men che meno oggi dove l’Università è in buona parte di massa, una scuola superiore e nulla più.

Da quello che leggo sembra che il “ricercatore” sia un gradino di passaggio per avere accesso alla docenza; un essere inferiore che deve ancora formasi per diventare “Ordinario”. Questa forse è anche l’idea degli attuali “ricercatori” che vedono la loro condizione solo come un passaggio di carriera, invece l’esigenza di un paese avanzato, è diversa ed è di avere,anche per la Ricerca, una struttura efficiente ed efficace, quindi ben remunerata.

Il docente ha una funzione importantissima che è quella di formare e divulgare il metodo di approccio scientifico; è primario per lui avere la capacità di “diffondere” la conoscenza, quindi è fondamentale la capacità di comunicare, di relazionarsi con gli allievi e di valutare i giovani aiutandoli nella loro formazione. Tutte queste capacità non sono richieste al ricercatore; le sue capacità devono essere ben altre: quelle di attenzione, di precisione, di astrazione, di fare salti logici nella logica, impegnarsi senza limiti per scoprire ed essere curioso di tutto. La comunicazione è l’ultima delle sue esigenze.
Sono due carriere che dovrebbero essere assolutamente indipendenti: un buon ricercatore può essere un pessimo docente, è probabilmente lo è, perché non è capace di soffermarsi sui particolari, che per lui sono ovvi, ma che per la maggior parte delle persone “normali” sono assolutamente necessari. Il buon docente deve essere certamente ben preparato ed aggiornato, ma non necessita di essere al top della conoscenza, è sufficiente che sappia preparare i suoi allievi per quella mediocrità che il modo esterno richiede, magari formando molto bene le capacità mentali di logica e raziocinio e dando basi sicure sul metodo scientifico. Obiettivi e caratteristiche di persone e ruoli completamente diversi.

Se parliamo di “corpo universitario” il discorso diventa sicuramente diverso. Una Università che si rispetti deve avere al suo centro la Ricerca e la sua ricerca dovrà “formare” i docenti, ma non nel senso di carriera verticale delle persone, ma di link orizzontali in cui i ricercatori passano le loro conoscenze ai docenti ed i docenti aiutano i ricercatori nella “divulgazione” dei loro lavori. Carriere separate quindi, non stratificate, anche se connesse e correlate. Basta con le baronie che mortificano la ricerca. Se vi dico questo è per esperienza diretta. Ho lavorato per 7 anni come ricercatore in un centro privato in cui si può dire che non c’era un professore universitario e con pochi mezzi abbiamo fatto cose ottime. Poi, la allora Edison dove ero io, si è fusa con la Montecatini dove imperversavano i professori. Da quel momento la ricerca si è arenata per poi essere abbandonata.

Il vero problema oggi, mi sembra di capire che non sia tanto la figura del ricercatore, ma la possibilità di dargli una posizione garantita, mantenendo le gerarchie attuali. Credo che quello che sta facendo la Moratti non serva a nulla, se non a creare scompiglio: mancano totalmente la capacità e le risorse per affrontare un problema estremamente complesso: da una parte garantire la struttura docente delle Università in qualità e quantità, dall’altra gettare una base di ricercatori capaci dediti a sviluppare le conoscenze.

Se il prossimo anno non sarò più docente universitario saprete perché.



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