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Proviamo a scrutare il futuro Tornerà la guerra fredda? I nuovi equilibri geopolitici del mondo nel 2008 sono molto diversi da quelli del ‘900. Vediamo le dinamiche dei principali attori mondiali: Russia, Cina, USA ed Europa Di Giovanni Gelmini
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Se, dopo la caduta del muro di Berlino, l’impero russo si è dissolto al sole senza causare spargimenti di sangue, solo nei Balcani vi è stata un’aspra e sanguinosa guerra, e gli Stati Uniti si sono trovati ad essere l’unica potenza che potesse gestire il mondo; oggi non è più così. L’assurda guerra georgiana ci richiama a essere attenti a questo nuovo assetto, che supera il monocentrismo instauratosi negli anni novanta e non torna al bipolarismo che ha imperato per quasi mezzo secolo dopo Yalta: è una situazione di multicentralità, con tanti Stati che, in modo diverso, incidono significativamente sulla situazione mondiale. Le domande che sono sorte immediatamente, dopo quanto avvenuto, sono: ma si torna alla guerra fredda? È possibile un’altra cortina di ferro? È proprio la multicentralità che ci dice che un’altra cortina di ferro è impossibileche rinasca e una guerra fredda incontrerebbe grandi difficoltà e si tradurrebbe in una perdita di centralità degli USA, per la sfera che oggi controllano. Vediamo allora qual’è la situazione. La Russia, dopo alcuni anni di assoluto disorientamento, con l’avvento di Putin ha saputo adeguarsi alla competizione mondiale e ha capito che ha una grande cosa da vendere all’Europa: l’energia e in cambio di quella può anche offrire un mercato ricco, in cui i paesi “avanzati” possono vendere i loro prodotti di lusso e le tecnologie. È così riuscita a conquistare una posizione di rilievo in molti Stati europei, tra cui l’Italia, e ha potuto nuovamente proporsi come paese di riferimento per molti stati del suo ex impero e degli altri continenti, in particolare l’America del Sud, che mal sopporta il colonialismo Usa. Chavez dal Venezuela insegna. Mentre gli Usa aprivano la Terza Guerra Mondiale, quella al terrorismo, che li vede inchiodati in Afghanistan e a Bagdad, la Cina, uscita dall’isolamento, si affermava come potenza mondiale di riferimento. I Giochi Olimpici a Pechino non hanno fatto altro che dare la conferma del ruolo di tutto rispetto che questo paese ha assunto: sa mediare, ha legato a sé buona parte dei paesi africani, i suoi prodotti sono ormai ovunque e fanno aperta concorrenza a quelli Usa e Europei. La Cina ha ancora molto da imparare, perché non è attenta al “controllo della qualità”, ma non illudiamoci è un problema che saprà superare. Qual’è la sua capacità di penetrazione nel mondo? Se per i prodotti è il basso prezzo, politicamente è la sua “indifferenza ideologia” che la fa vincente. La Cina quando stipula contratti con i paesi meno sviluppati, non chiede l’asservimento ideologico dei paesi, come vogliono invece gli USA, la sua filosofia è: fate quel che volete, basta che non veniate contro di me. Così compra le materie prime di cui ha bisogno e in cambio può fornire tanti prodotti a basso prezzo e consulenze che, per le esigenze di quei paesi, sicuramente non sono inferiori a quelle che anche i paesi “occidentali” possono fornire. Non dimentichiamo che la Cina ha centri di ricerca giganteschi ed una cultura portata al ragionamento matematico, in tempi non biblici è in grado di recuperare completamente il gap tecnologico esistente. È questo il modo con cui ha conquistato inaspettatamente un ruolo di rilievo in Africa. Però anche la Cina ha problemi. Il primo è l’approvvigionamento delle materie prime. Questa questione è ipotizzabile che verrà risolta in tempi brevi, introducendo nuove tecnologie per la produzione di energia che non usi né il petrolio, né il nucleare. Queste tecnologie sono oggi disponibili, ma, a causa della loro bassa diffusione, non sono sufficientemente convenienti; se la Cina decide di usarle, diventano convenienti anche per noi. (N.d.R. questo porterebbe ad un’ulteriore perdita di importanza degli Stati Uniti, che, seguendo gli interessi dei petrolieri, ha rallentato fortemente l’applicazione delle tecnologie per l’energia riproducibile) Il secondo problema, che ha la Cina già da ora, è l’inquinamento, ma questo può essere una ulteriore spinta che la potrebbe portare rapidamente verso le tecnologie meno impattanti sull’ambiente. Il terzo problema è quello sociale. Questo è sicuramente il più delicato e su proprio su questo potrebbe cadere tutta la costruzione dello Stato. La crescita economica tumultuosa crea forti differenze e potrebbe portare ad una disgregazione di quel mondo ideologico che tiene unita la Cina. Oltre ad un possibile sconvolgimento dello Stato, vi è anche il rischio che forze centripete di singole regioni prendano il sopravvento con il dissolvimento dello Stato cinese. Un grave rischio per la Cina, forse più che per noi, è il fondamentalismo islamico, che è già apparso nelle regioni nord occidentali della potenza gialla. Gli Stati Uniti, malgrado restino per ora il paese più potente del mondo hanno perso molto nel periodo caratterizzato dalla presidenza Bush e questo lo si può misurare dalla perdita di valore del dollaro. Non è bastata la superiorità tecnologia a mantenere gli USA al livello a cui erano alla fine degli anni ’80. Il declino inizia circa dieci anni fa, quando dopo l’ascesa di Bush inizia una politica di stretto controllo dei movimenti finanziari, una politica pervasa dalla “paura” di mafie e terrorismo, ma anche una politica che non ha saputo controllare la solidità del sistema finanziario e che si è avventurata nel mondo mediorientale senza comprenderne le realtà. Se l’11 settembre ha imposto un intervento militare in Afghanistan, non vi è stata poi la capacità di chiudere la partita grazie all’ambiguità dei rapporti tenuti col Pakistan. A questo impegnativo intervento militare, si è voluto aggiungere la guerra in Iraq che ha spazzato l’unico stato “laico” nel mondo mediorientale, senza ascoltare le perplessità degli alleati europei. Ma il punto più dolente per gli Usa, quello che li ha messi in ginocchio e li ha fatti perdere posizioni internazionali, sono stati proprio gli errori su lato della finanza. I controlli che sono stati imposti sui movimenti finanziari hanno spostato gli operatori verso l’euro, facendo perdere al dollaro il ruolo di moneta di riferimento nelle transazioni internazionali e hanno fatto anche diminuire gli investimenti in USA. A questo si è aggiunta l’allegra finanza di alcuni banchieri che hanno portato gli Stati Uniti a pilotare la crisi economica mondiale, invece di pilotarne la crescita. Questi problemi dell’America si ripercuotono sul mondo dei “suoi alleati” che diventano insofferenti. Ecco così in Sud America rinascere i movimenti che si oppongono all’imperialismo yankee e che trovano nella rinata Russia un nuovo punto di riferimento. Per l’Europa la situazione è più complessa. Il legame con gli USA permane forte, anche se l’insofferenza in molti Stati è diventata palpabile. Questo è dovuto anche al fatto che non vi sono più problemi ideologici e èd caduto il rischio di diventare “rossi”. Le azioni fatte dagli USA in Medio Oriente hanno creato notevoli difficoltà, sia per gli approvvigionamento di petrolio, sia per il rischio terrorismo e l’Europa è in buona parte “mediterranea”, quindi a stretto contatto con le aree islamiche. Quando Bush ha dato inizio la “terza guerra mondiale”, l’Europa stava percorrendo un processo di coagulazione politica e si apprestava a diventare un’altra potenza mondiale, ma le difficoltà create dalla destabilizzazione, a seguito della guerra in Iraq, ha rallentato, se non fermato, questo processo. Molti paesi si sono trovati in difficoltà ad approvvigionarsi di energia e... si è fatto avanti Putin con il suo Gas, e non solo quello suo. Putin infatti provveduto a far sviluppare anche dei contratti con i paesi produttori caucasici per cui i loro prodotti vengono ceduti alla Russia che poi li gira agli altri paesi. In questo modo il progetto americano di collegare il Caucaso all’Europa con gasdotti e oleodotti perde di significato. Se vediamo la posizione dei paesi dell’Europa, come viene classificata da Limes, possiamo notare che tra gli “amici della Russia” troviamo essenzialmente paesi che necessitano di approvvigionamenti energetici: Spagna, Francia, Germania, Italia, Slovacchia, Bulgaria,Ungheria, Serbia e Grecia. Dichiarati Partner sono: Portogallo, Norvegia, Finlandia, Belgio, Austria, Slovenia, Croazia e Macedonia. Contro la Russia si schierano solo due dei paesi occidentali storici: Gran Bretagna e Svezia; a questi si aggiungono quelli che più hanno sofferto l’occupazione russa: Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia, oltre al neonato Kossovo. Vi è poi un gruppo di paesi in un’area “grigia”, neutrali o in posizione intermedia: Irlanda, Olanda, Repubblica Ceca, Ucraina, Romania, Moldova, Bosnia Erzegovina, Montenegro, Macedonia, Albania e ovviamente la Svizzera.
Come si vede il nucleo storico e forte della UE è a favore della Russia e questo evidentemente potrebbe diventare un forte motivo di contrasto ad una politica di irrigidimento dei rapporti USA- Russia.
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