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Le cattedrali nel deserto e la crisi

Soldi sperperati e spessissimo legati alla corruzione e mancanza di una visione corretta della politica economica territoriale sono le cause principali della crisi delle grandi imprese nel sud. E il governo tace

Di Giovanni Gelmini


Rientrando dalla Sardegna, dove ho incontrato gli operai in protesta sulla Torre aragonese di Porto Torres, mi sono messo a ragionare sulle responsabilità di chi ha governato e disperso capitali pubblici in investimenti che non sono stati sufficienti a portare i territori sottosviluppati dell'Italia a livello del nord e il “Petrolchimico” sardo ne è certamente un bell'esempio, come tutti i petrolchimici del sud d'altra parte. Ma non solo la chimica di base, tutti i grandi investimenti nel Sud, e alcuni anche al Centro e al Nord, hanno avuto la stessa logica.

La mia esperienza in questo campo è diretta, perché ho seguito gli investimenti di una delle grandi società italiane impegnate nella petrochimica, oltre che in tanti altri settori: la Montedison. Ecco che l'evento “Porto Torres”, mi ha richiamato alla memoria quel periodo. Il meccanismo era semplice: veniva individuata un area depressa nel Sud Italia, si inventava un progetto industriale. Lo Stato e le Regioni ci mettevano i soldi, poi, per ringraziamento, si dava il famoso 5% ai politici che avevano organizzato tutto.

Non mi scandalizza tanto il 5%, ma il fatto che non fosse importante che l'investimento risultasse produttivo e in grado di dare sviluppo a un territorio, come il Sud, carente di posti di lavoro. Era come una “commissione bancaria”: al termine della transazione c'era da pagare il dovuto e tutto il resto poco interessava.

In questo modo sono avvenute cose allucinanti. Sicuramente la peggiore è stata la distruzione della piana di Gioia Tauro, dove tutti gli investimenti previsti, dall'acciaieria, che si sapeva non serviva, al progetto industriale della Liquichimica, hanno mangiato soldi e territorio senza portare nulla, perché non sono neanche arrivati a compimento. Certo anche per Porto Torres si sapeva che era un investimento che non aveva futuro senza sovvenzioni. Altri hanno retto, grazie ad una migliore capacità dell'imprenditore che, magari, disponeva di una integrazione con altri impianti più efficienti.

Questo non è stato solo per la chimica e oggi troviamo un altro caso che occupa le pagine dei giornali: Termini Imerese con la Fiat. Questi investimenti sono spesso sopravvissuti grazie a continue iniezioni di soldi fatte dagli enti pubblici, perché mancava la produttività. “Purtroppo” ad un certo punto l'Europa è intervenuta vietando questo sostengo alle imprese e così è finita la pacchia. La profonda crisi attuale ha provveduto a fare il resto e i problemi sono scoppiati.

Credo che Termini Imerese sia un bell'esempio. Secondo “MF” Raffaele Lombardo, attuale presidente della Regione Sicilia, vuol presentare il conto alla Fiat per tutti i soldi ricevuti. L'articolo di “MF”, parte dal contratto del febbraio 2006, uno dei più recenti, del valore complessivo di 44 milioni euro, di cui 34 garantiti dalla Fiat e 10 milioni dallo Stato; di questi ultimi la Regione Sicilia se ne accolla1,6. Sempre secondo “MF”, dall'inizio della avventura torinese a Termini Imerese, in quarant'anni quanto erogato dagli enti pubblici ha superato i 400 milioni tra fondi italiani ed europei, compresi anche i fondi destinati alla Regione più in generale e utilizzati sempre per Termini; a questi si dovrebbero aggiungere anche i fondi comunitari che la Regione ha destinato per la zona industriale di Termini e per le sue infrastrutture. Quindi si vola verso il miliardo di euro.

Marchionne ha fatto una dichiarazione raggelante: “"Termini non è in grado di competere, la decisione è irreversibile" ”.
Raggelante, ma viene da un manager che ha raddrizzato la Fiat, che sembrava dovesse fallire.
Dobbiamo pensare che abbia una specifica antipatia proprio per Termini Imerese?
Penso proprio di no, magari quello stabilimento lo conosce solo dai rapporti industriali ed economici e non vi ha mai messo piede. Dobbiamo allora pensare che la scelta sia legata alla necessità di riorganizzare il gruppo industriale che dirige, diminuendo la capacità produttiva complessiva di auto.

Allora il punto è garantire i posti di lavoro, indipendentemente dalla produzione di auto o dalla Fiat, ma non con un accordo che costa ai contribuenti e prolunga l'agonia. Arese è un bell'esempio di questi orribili accordi.

La prima cosa da fare sarebbe chiedere a Marchionne quali sono i punti che rendono Termini Imerese non competitiva, affinché qualunque cosa si possa fare, perché sia duratura, passa attraverso quel punto: rendere la localizzazione di imprese competitiva.

Credo che i problemi che potrebbero emergere rientrano in queste categorie:
  • presenza di una criminalità che impedisce lo sviluppo,
  • efficienza del sistema pubblico (la sua inefficienza è un costo pesante per le imprese e compara anche incertezze che disincentivano le localizzazioni degli investimenti)
  • giustizia efficiente (non solo rapida e processi che vengono cancellati)
  • infrastrutture efficienti
  • territorio ricettivo con tessuto industriale in grado di agire in modo sinergico
Molti dei punti indicati sono quelli che definiscono questi investimenti “cattedrali nel deserto”. Il “deserto” è dato dalla incapacità dei metodi utilizzati per finanziare lo sviluppo nel sud nel produrre le sinergie necessarie alla sopravvivenza:
  • imprese connesse, che oggi è necessario che operino in molti settori diversi e non nella concezione di filiera,
  • popolazione con titoli di studio e competenze adeguate.
Ancora oggi in Sicilia è diffusa la laurea ed è snobbato lo studio di scuola media superiore, invece più richiesto dalle imprese, e per di più l'indirizzo privilegiato è legge, lettere, scienze della comunicazione ed altri perfettamente inutili per le imprese di produzione. Non parliamo delle infrastrutture che sono sommarie e sconnesse. Certo questo problema non si risolve con opere puntali e faraoniche, come il Ponte di Messina, ma con un riassetto globale e diffuso.

Non parliamo del problema criminalità, a cui tutti gli imprenditori sono molto sensibile e, specialmente per le che operano con la produzione a livello internazionale, la burocrazia inutile e lenta e la giustizia che ha tempi faraonici, con una legislatura composta da un numero assurdo di leggi, che spesso si contraddicono pure e creano una confusione incredibile.

Non possiamo addossare tutta la colpa agli industriatili che hanno preso i soldi (n.d.r. parlo per quelli che gli impianti li hanno realizzati) e che sono, a distanza di anni, ancora in funzione. I soldi li hanno presi per fare delle attività che senza sostegno finanziario non sarebbero state economicamente produttive.
Il grave errore è stato quello dei politici che non hanno mai affrontato una razionale politica economica del territorio, che non si sono occupati del livello e della qualità della scuola, degli istituti necessari per lo sviluppo delle imprese. Non si sono preoccupati poi di creare quel tessuto di piccole e medie imprese che sono il supporto strategico per una attività industriale di grande portata.

Oggi, se siamo in questa situazione, credo che la colpa sia da addebitare a tutto il sistema politico dei governi ed in particolare all'incapacità dei vari governi Andreotti, Craxi e Berlusconi (solo per citare chi ha governato per tempi significativi) di sviluppare una qualsiasi politica economica razionale, come ha segnalato anche la Banca d'Italia in Quali politiche per il Sud?

Solo un governo capace potrebbe affrontare la situazione, ma non ne vedo all'orizzonte e quindi dobbiamo attenderci un disastro per il territorio, che ha ospitato queste “cattedrali”, perché, oltre alle imprese in difficoltà, entreranno in crisi anche le attività, che vivevano sul reddito generato dalle cattedrali. Avremo così fallimenti a raffica e la povertà sarà diffusa, grazie ad aver accettato di essere rappresentati da politici incapaci e troppo spesso anche corrotti. L'assurdo è che, in questa situazione, oggi vogliono osannare Craxi che, pur non essendo il solo, perché è evidente che la corruzione era diffusa nel mondo politico, è stato tra i pochi condannati proprio per questo tipo di malaffare.


Vedi anche:
Crisi nera! di Il Nibbio
Operai della Vinyls sulla torre!
di Giovanni Gelmini
 



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