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 Anno VI n° 6 GIUGNO 2010    -   TERZA PAGINA


Leggendo Primo Levi
La storia insegna. Dal “Il sistema periodico - ORO”
Segue al mio commento politico: “Bavaglio? Non si deve combattere Berlusconi!”
Di Giovanni Gelmini


    …il fascismo aveva operato su di noi, come su quasi tutti gli italiani, estraniandoci e facendoci diventare superficiali, passivi e cinici.

    Sopportavamo con allegria maligna il razionamento e il freddo nelle case senza carbone, ed accettavamo con incoscienza i bombardamenti notturni degli inglesi; non erano per noi, erano un brutale segno di forza dei nostri lontanissimi alleati facessero pure. Pensavamo quello che tutti gli italiani umiliati allora pensavano: che i tedeschi e i giapponesi erano invincibili, ma gli americani anche, e che la guerra sarebbe andata avanti cosi per altri venti o trent'anni, uno stallo sanguinoso ed interminabile, ma remoto, noto soltanto attraverso i bollettini di guerra adulterati, e talvolta, in certe famiglie di miei coetanei, attraverso le lettere funeree e burocratiche in cui si diceva "eroicamente, nell'adempimento del suo dovere". La danza macabra, su e giù lungo la costa libica, avanti e indietro nelle steppe d'Ucraina, non sarebbe finita mai.

    Ciascuno di noi faceva il suo lavoro giorno per giorno, fiaccamente, senza crederci, come avviene a chi sa di non operare per il proprio domani. Andavamo a teatro ed ai concerti, che qualche volta si interrompevano a mezzo perché suonavano le sirene dell'allarme aereo, e questo ci sembrava un incidente ridicolo e gratificante; gli Alleati erano padroni del cielo, forse alla fine avrebbero vinto e il fascismo sarebbe finito: ma era affare loro, loro erano ricchi e potenti, avevano le portaerei e i "Liberators". Noi no, ci avevano dichiarato "altri" e altri saremmo stati; parteggiavamo, ma ci tenevamo fuori dai giochi stupidi e crudeli degli ariani, a discutere i drammi di O'Neill o di Thornton Wilder, ad arrampicarci sulle Grigne, ad innamorarci un poco gli uni delle altre, ad inventare giochi intellettuali, ed a cantare bellissime canzoni che Silvio aveva imparato da certi suoi amici valdesi. Di quello che in quegli stessi mesi avveniva in tutta l'Europa occupata dai tedeschi, nella casa di Anna Frank ad Amsterdam, nella fossa di Babi Yar presso Kiev, nel ghetto di Varsavia, a Salonicco, a Parigi, a Lidice: di questa pestilenza che stava per sommergerci non era giunta a noi alcuna notizia precisa, solo cenni vaghi e sinistri portati dai militari che ritornavano dalla Grecia o dalle retrovie del fronte russo, e che noi tendevamo a censurare. La nostra ignoranza ci concedeva di vivere, come quando sei in montagna, e la tua corda è logora e sta per spezzarsi, ma tu non lo sai e vai sicuro.

    Ma venne in novembre lo sbarco alleato in Nord Africa, venne in dicembre la resistenza e poi la vittoria russa a Stalingrado, e capimmo che la guerra si era fatta vicina e la storia aveva ripreso il suo cammino. Nel giro di poche settimane ognuno di noi maturò, più che in tutti i vent'anni precedenti. Uscirono dall'ombra uomini che il fascismo non aveva piegati, avvocati, professori ed operai, e riconoscemmo in loro i nostri maestri, quelli di cui avevamo inutilmente cercato fino allora la dottrina nella Bibbia, nella chimica, in montagna. Il fascismo li aveva ridotti al silenzio per vent'anni, e ci spiegarono che il fascismo non era soltanto un malgoverno buffonesco e improvvido, ma il negatore della giustizia; non aveva soltanto trascinato l'Italia in una guerra ingiusta ed infausta, ma era sorto e si era consolidato come custode di una legalità e di un ordine detestabili, fondati sulla costrizione di chi lavora, sul profitto incontrollato di chi sfrutta il lavoro altrui, sul silenzio imposto a chi pensa e non vuole essere servo, sulla menzogna sistematica e calcolata. Ci dissero che la nostra insofferenza beffarda non bastava; doveva volgersi in collera, e la collera essere incanalata in una rivolta organica e tempestiva: ma non ci insegnarono come si fabbrica una bomba, né come si spara un fucile.

    Da Primo Levi,
    Oro, in Il Sistema Periodico


Quanto ho scritto nel mio commento politico “Bavaglio? Non si deve combattere Berlusconi!”, lasca aperti molti quesiti cui difficilmente si può dare una risposta. Chi vuole far cambiare all'Italia la via che stiamo percorrendo, indicata da chi ci governa come unica e inevitabile, si pone il problema di come agire.

La lettura del brano di Primo Levi mostra delle affinità tra quel periodo bellico e il nostro. Non siamo sotto i bombardamenti, non siamo in guerra. I morti non sono in massa, ma ci sono, le guerre non sono mondiali, ma sono in ogni caso in tutto il mondo, la pace non c'è. L'imperialismo esiste ancora, anche se gli imperatori non girano più in carrozza con i brillanti sulla testa. La guerra è polverizzata in una miriade di luoghi e il motivo è sempre lo stesso: sfruttare i prodotti di cui è ricco il luogo (petrolio, minerali, droghe, frumento, ecc) o occupare luoghi strategici per il controllo dei traffici.

Nella prima frase riportata troviamo la similitudine al nostro periodo: la sensazione di impotenza “estraniandoci e facendoci diventare superficiali, passivi e cinici.” Oggi questo è il modo di essere di quasi tutti. La vita che ci circonda passa sopra la nostra pelle senza provocare reazioni “accettavamo con incoscienza i bombardamenti notturni degli inglesi; non erano per noi... Ciascuno di noi faceva il suo lavoro giorno per giorno, fiaccamente, senza crederci, come avviene a chi sa di non operare per il proprio domani”. In un altro racconto, “Cerio”, sempre de “Il sistema periodico”, Levi parla della caduta dell'etica. Il rubare diventa lecito perché è l'unico modo per sopravvivere. Oggi si ruba non per sopravvivere, ma per ostentare: si ruba il lavoro degli altri, pagandoli da fame o non pagandoli addirittura, si “ammazzano” le speranze dei colleghi, per accaparrarsi un premio o un aumento di stipendio immeritato, si porta via il posto di lavoro a un competente attraverso la raccomandazione. Anche questo è un segno dei tempi.

Anche allora, malgrado la forte riduzione della libertà, le difficoltà a vivere e il disastro bellico, la gente non reagiva, come avviene oggi. Forse non siamo ancora alla situazione drammatica degli anni successivi al 1940, ma neanche allora la rivolta partì dall'Italia. Non illudiamoci, fu l'arrivo degli americani che innescò la forza alla ribellione. Forse anche oggi abbiamo bisogno degli “americani”.

Non credo che negli Stati Uniti, il modo di operare di Berlusconi piaccia molto. Il bavaglio alla stampa, il controllo della giustizia, l'affarismo sfrenato, il comportamento senza etica, sono lontani dal puritanesimo americano. Ma non basta, il rapporto intimo che l'Italia tiene, attraverso Berlusconi, con Geddafi e Putin non credo che entusiasmi né Obama, né un possibile premier repubblicano.

Ma noi cosa possiamo fare? Non molto, perché la nostra classe politica non agisce, si oppone a parole, ma, quando è stato il momento di agire, ha sempre dimostrato di fare quello che va bene a Berlusconi. Evidentemente è anche lei compromessa con i poteri che sostengono l'azione di cambiamento della Costituzione di cui parlavamo nel precedente articolo.

L'uso della piazza, fino a che si potrà fare, per mostrare il dissenso è certamente una via, ma i girotondini non hanno inciso molto e forse neanche il popolo viola potrà fare di più, anche se Internet resta un veicolo importante per sostenere le libertà. Quello che abbiamo perso è la capacità di un comportamento etico e questo non lo si ricrea con un colpo di bacchetta magica. Ci vuole tempo.

Ho una idea, che mi ha messo in testa Berlusconi stesso quando ha invitato gli industriali a non fare pubblicità sui giornali che lo attaccano, ma non so se potrebbe funzionare, provo a dirla in ogni caso.

Il potere attuale ci manipola attraverso la TV, ma se non la vediamo, non penso che cambi molto. Però non possiamo dimenticare che la TV è pagata dalla pubblicità, se la inibiamo abbiamo bagnato la miccia. Allora via: non comprare i prodotti pubblicizzati in TV, partendo da tutte le “offerte per i mondiali di calcio”. Se le ditte, che pagano miliardi di euro alla RAI e alla Finivest, non ricevono i soldi da noi (N.d.R. la pubblicità la pagano con i nostri soldi, vendendoci prodotti a un prezzo più alto del loro valore), loro non faranno più pubblicità e il potere di propaganda dei berlusconiani si congela.

Forse tagliandogli i soldi che sono la loro linfa vitale, capiranno che così non possono andare avanti e comunque ci sentiremo nuovamente in grado agire eticamente per noi stessi, risparmiando anche qualche soldo.



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