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Legge di stabilità: il parere dell'Istat lascia ampi dubbi sulla capacità di farci uscire dalla crisi

La legge di stabilità non sembra in grado di stimolare la ripresa. Tutto viene rinviato alle “riforme”, quelle vere, che sono ancora di là da venire. L'impressione che ne traiamo è che anche la previsione di un ritorno alla crescita del PIL, nel prossimo anno, sarà come per il passato: una pia illusione

Di G.G.

Il 3 novembre il Presidente dell'Istat, Giorgio Alleva, è stato ascoltato dalle commissioni competenti di Camera e Senato sulla “legge di stabilità”. Il testo pubblicato dall'ISTAT è chiaro solo per gli addetti ai lavori; proviamo qui a farne una sintesi per tutti.

Alleva inizia la sua relazione con il riferimento al quadro macroeconomico mondiale e dell'Italia in particolare, da cui emerge quanto già si sa: l'Europa va a rilento e l'Italia è l'ultima della classe. Abbimo già riportato le previsioni fornite in Documenti: “Le prospettive per l’economia italiana nel 2014-2016 - Istat: PIL –0,3% nel 2014, forse la ripresa nel 2015”.

In sintesi:
    Le previsioni macroeconomiche per l'intero 2014 ricalcano in ogni caso le tendenze già osservate nella prima metà dell'anno. La flessione del Prodotto interno lordo è prevista attestarsi intorno allo 0,3%. Questa sarebbe interamente attribuibile alla significativa contrazione degli investimenti. Il contributo, pur favorevole, della domanda estera netta è previsto in netto ridimensionamento rispetto agli anni precedenti (+0,1 punti percentuali) a seguito del recupero delle importazioni e della decelerazione delle esportazioni. L'apporto delle scorte risulterebbe lievemente negativo.

    Nel biennio 2015-2016, la moderata distensione dello scenario macroeconomico, insieme all'adozione di misure di sostegno dell'attività economica, favorirà l'uscita dell'economia italiana dalla fase recessiva, sia pure su ritmi di crescita ancora contenuti. Questa sarà essenzialmente sospinta dal miglioramento delle componenti interne di domanda. Nel 2015 la variazione del PIL tornerà debolmente positiva (+0,5%), chiudendo la lunga recessione del triennio precedente. Per il 2016 è previsto un consolidamento dell'espansione (+1%), benché ancora su ritmi inferiori a quelli dei principali concorrenti europei e internazionali.

    Come indicato nel comunicato stampa diffuso questa mattina, tali previsioni sono soggette a elevati livelli d'incertezza, dovuti in particolare all'evoluzione del quadro economico internazionale.
La relazione poi prosegue con il “ Commento al Disegno di legge di Stabilità

Per l'Istat “per il 2015, la manovra decisa dal governo è espansiva, nelle valutazioni di impatto ex ante, per circa 7 miliardi di euro (4 decimi di punto di PIL)”, ma “Per l'anno successivo, il 2016, la manovra risulta in sostanziale pareggio” e “Nel 2017 la manovra necessaria, per raggiungere l'obiettivo di saldo, ha un impatto restrittivo ex ante pari a 6,8 miliardi.

Le riforme strutturali che il Governo continua ad annunciare, secondo l'ISTAT restano con “incerta quantificazione alla luce delle informazioni attualmente disponibili” e quindi non sono state prese in considerazione, nelle simulazioni condotte.

Il risultato è così sintetizzato:
    Con tale premessa, in base ai risultati delle analisi condotte, nel 2015 e nel 2016 la crescita economica reale beneficerebbe in modo marginale delle manovre espansive, rimanendo sostanzialmente invariata rispetto al quadro tendenziale. L'aumento della dinamica dei consumi delle famiglie, stimato pari a circa 2 e 4 decimi di punto nei primi due anni, si rifletterebbe in parte in maggiori importazioni e verrebbe compensato dalla riduzione di consumi e investimenti pubblici. La dinamica dell'occupazione è stimata migliorare di 3 decimi di punto in entrambi gli anni, corrispondenti a oltre 50 mila occupati aggiuntivi ogni anno.

    Nel 2017, in conseguenza dell'orientamento restrittivo della manovra programmata (4 decimi di punto di PIL), la crescita economica si ridurrebbe di quasi due decimi di punto rispetto al quadro tendenziale.
L'Istat però precisa:
    Gli effetti sul bilancio pubblico potrebbero tuttavia essere più favorevoli rispetto alle valutazioni ex-ante, permettendo il raggiungimento di obiettivi di finanza pubblica più ambiziosi di quelli fissati dal Governo. In particolare, se si manifestassero effetti positivi su crescita economica e occupazione derivanti dall'attuazione di riforme strutturali o se venisse attuata una ricomposizione del bilancio pubblico sulla base di interventi con caratteristiche più favorevoli al miglioramento della competitività ed alla crescita economica, lo scenario previsivo potrebbe mutare.
É assolutamente evidente che l'Istituto di Statistica non può fornire opinioni sull'operato del Governo, ma il fatto che ritenga non opportuno inserire nelle previsioni i provvedimenti che Renzi continua a sbandierare, sottolinea come le sue riforme, quelle che interessano nella realtà l'economia, siano ancora insufficienti e risulti difficile quantificarne gli impatti.

Nella realtà Renzi ha finora dato il via a riforme che interessano il “potere” (Senato, Province, Legge elettorale) e qualche riforma, ancora non delineata che sono marginali per lo sviluppo come il jobs act, ma che ancora sembrano nella sostanza ridurre il potere del sindacato.

Le vere riforme utili: Giustizia, Fisco, Burocrazia restano al livello di annunci fumosi. Non possiamo dimenticare che riforme profonde sono costose e inizialmente creano scompiglio e quindi la loro azione positiva si può raccogliere solo dopo un certo periodo, difficilmente nell'anno in cui vengono attuate.

Entrando nel particolare l'Istat analizza l'effetto sulla deduzione del costo del lavoro dall'imponibile lrap (art. 5). Le conseguenze sono abbastanza complesse, ma una cosa è messa in evidenza: “La riduzione del carico fiscale sul costo del lavoro dipendente restringe sensibilmente l'insieme delle società interessate: poco più del 55% delle società di capitali considerate impiega lavoro dipendente. Il peso dell'lrap sul costo del lavoro a tempo indeterminato prima della manovra prevista dalla legge di Stabilità è mediamente pari all'1,3%.” Sicuramente l'effetto sarà più importante per le piccole imprese del commercio e dell'artigianato, ma di queste imprese l'ISTAT non fa parola.

Altro punto analizzato e quello del Credito d'imposta per attività di ricerca e sviluppo (art. 7) e la legge di Stabilità prevede per gli investimenti incrementali in ricerca e sviluppo l'introduzione di un credito d'imposta del 25%, che sale al 50% per le spese relative all'assunzione di personale qualificato e per le attività svolte con partner esterni (cosiddetta spesa extra-muros).

L'ISTAT osserva :
    La spesa in R&S secondo l'ISTAT è sostenuta per circa due terzi da imprese con almeno 500 addetti. Sia in termini di imprese sia di spesa l'attività di R&S è svolta per circa tre quarti da imprese del Nord e per poco più dell'8% da imprese del Mezzogiorno. Il maggior incentivo per la spesa R&S extra-muros potrebbe coinvolgere un numero più limitato di imprese (circa il 17% di quelle coinvolte dalla rilevazione), ma favorire al tempo stesso quelle di minori dimensioni, che mostrano un'intensità di spesa in R&S extra-muros superiore a quella intra-muros. Infine, negli ultimi anni si osserva anche una tendenza a un incremento del personale ad alta qualifica - con un titolo di studio universitario - anch'esso interessato da un maggior incentivo, la cui quota tra il 2008 e il 2012 passa dal 39 al 44% del totale degli addetti impegnati nelle attività di R&S .
Il risultato appare positivo, anche se non riesce di certo a colmare l'enorme divario tra l'Italia e i principali pesi industrializzati, pertanto l'innovazione non sarà in grado di fornire sviluppo a tutti i livelli ed in particolare per ridurre il divario Nord Sud.

Nella relazione non si trovano indicazioni di impatto sugli Sgravi contributivi per assunzioni a tempo indeterminato (art. 12) e su Misure per lo famiglia (art. 13) , ma solo un quadro dello stato di fatto dell'occupazione precaria.

La lettura del documento relativo all'audizione lascia piuttosto perplessi.
Non vengono rilevati elementi in grado di creare un rilancio dell'economia, ma piccoli cambiamenti che da soli non danno l'idea di modificare lo stato di fatto: cioè consumi interni ridotti, legati alla riduzione del reddito delle famiglie più indigenti, e competitività del sistema in calo.

Tutto viene rinviato alle “riforme”, quelle vere, e allora non possiamo certo essere ottimisti e dobbiamo pensare che anche la previsione di un ritorno alla crescita del PIL nel prossimo anno sarà come per il passato: una pia illusione.

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