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Guardando un disegno

La ragazza delle caldarroste ovvero, a Bergamo cosa c’era prima del Coin?

Un po’ di storia della città tra i ricordi di fiori, giornali, angurie e caldarroste

Di Giovanni Gelmini

Ho ritrovato un disegno e inizio a pensare a quando l’ho fatto; di sicuro prima di quando venne aperto un cantiere, all’inizio degli anni ’60, nel piazzale tra Via Zambonate e Via Silvio Spaventa: abbattimento di case e un profondo scavo. Sorge un cubo grigio senza finestre e nel novembre 1964 si inaugura il primo Grande magazzino di qualità, il Coin, e nel sotterraneo il supermercato di qualità “Stella”, che con l’inaugurazione del supermercato Standa nel 1961 e lo spostamento dell’Upim in via XX Settembre, realizzano un cambiamento straordinario per la città.

Quel cubo c’è ancora con il Coin, lo Stella non c’è più. Ora vi racconto cosa c’era prima: qualcosa che è stato importante nella mia infanzia e nell’adolescenza (credo non solo per me).

Ecco i miei ricordi legati a quel posto
.

Da piccolo, quando, accompagnato da mia madre, svoltavo da Via XXVIII Ottobre, che a volte mia madre chiamava ancora Via dei Mille e oggi è Via Giorgio e Guido Paglia, non vedevo l’ora di arrivare a via Zambonate: mi aspettava “bròta facia bèla’.

Nonostante il traffico in città non fosse molto, quella piazza era veramente trafficata. Il tram sferragliava; auto, furgoni ed anche mezzi trainati da cavalli impegnavano la piazza, occorreva attenzione ad attraversare le vie.

Sull’angolo tra Via Spaventa e Via Zambonate, c’era uno spiazzo abbastanza grande con degli enormi ippocastani e, proprio sull’angolo, tre ‘baracchette’: sul lato di via Spaventa un fiorista, Bombardieri, con una grande vetrina che mostrava una piccola scelta di piante e fior: rose garofani, primule, felci , e asparagus,ecc.., le piante che allora erano disponibili ed era dove compravamo piante o fiori per la casa e per i festeggiamenti; al centro, sull’angolo tra le due vie, un’edicola, ma qui si comprava qualche volta Epoca e per me le figurine da collezionare sull’album e da scambiare con gli amici in cortile. Infine sul lato di via Zambonate ce n’era ancora una, la mia preferita, che vendeva dolci, bibite, d’inverno caldarroste, ma d’estate granite, anguria e cocco a fette, è quella che tutti hanno conosciuto come del Bepo.
Il Bepo, un personaggio tracagnotto, ma sempre sorridente, mi accoglieva con una frase: “se te fet bròta facia bèla” e il motto con cui mi accoglieva, per me era diventato il suo nome.

Ora, mentre faccio mente locale, mi accorgo che in quegli anni quella del Bepo era l’unica struttura assimilabile ad un bar presente sulla piazza; c’era solo una latteria poco più avanti in via Zambonate e un’altra latteria in via XXVIII Ottobre (oggi via Paglia). Quest’ultima si trasferì proprio sulla piazza all’inizio degli anni cinquanta. Coprì un pezzo delle Roggia Serio a fianco della sagrestia della Chiesa di Santa Lucia e divenne il “Bar Alemagna”, che aveva un bello spazio tra il fabbricato del bar, e la sacrestia della chiesa.

Verso la fine degli anni ’50 la Roggia Serio venne coperta in tutto il tratto urbano da via San Lazzaro a Porta Nuova. il nuovo spazio stradale venne usato come parcheggio delle auto e al bar questo non recò alcun problema e rimase in funzione finno a quando cambiò tutta la viabilità di Via Zambonate e Via Tiraboschi e fu abbattuto (negli anni ’70?).

Ragazza pensierosa, 1964. “La ragazza delle Caldarroste”; ora posso svelare il segreto di questo mio disegno, nella realtà la ragazza sta pensando a quale caldarrosta aggredire.

La mia storia con “bròta facia bèla” non finisce con la mia infanzia. Se nell’infanzia è stato un personaggio simpatico e passare davanti al suo baracchino era per me un motivo di gioia, con l’adolescenza ne sono diventato un frequentatore.

Per noi ragazzi, con pochi soldi in tasca, d’estate il suo baracchino era diventato il luogo ideale dove, lasciando per un poco le “vasche” del Sentierone, passare un po’ di tempo.

D’estate, tutti attorno al suo tavolo di lamiera zincata irrorato d’acqua corrente, potevamo gustarci delle formidabili fette d’anguria. D’inverno spesso si compravano le caldarroste: c’erano due bracieri, ottenuti da due bidoni, con le castagne in arrostimento, quelle cotte invece erano mantenute al caldo avvolte in un telo di iuta in una cassa chiusa di legno. Per poche lire la cassa si apriva e le caldarroste finivano in un cono, fatto abilmente da un spesso foglio di carta paglia, quella gialla che usavano i macellai, e così noi potevamo tornare a passeggiare sul Sentierone, con tra le mani il caldo cono, invidiati da quelli che ancora non lo avevano. A volte però si andava da De Zordo per la sua panna montata e la cioccolata, che però costava un poco di più.

Il tempo passa e le tre baracchette, per restare adeguate ai tempi, si trasformarono in un fabbricato moderno a “L” con la stessa disposizione: sul lato di Via Spaventa il fiorista, al centro il giornalaio e sul lato di Via Zambonate il Bepo.

Il fabbricato a “L” lasciava un bello spazio interno, al riparo dal traffico e dagli sguardi curiosi dei passanti e qui trovarono una bella sorpresa: i tavolini, dove ci si poteva sedersi comodamente. Il baracchino del Bepo si era trasformato in un vero proprio Bar, ma la cosa non durò molto.

Presto tutto cambiò: il piazzale fu scavato e fu innalzata una nuova costruzione, un cubo grigio senza finestre che ancora oggi potete vedere: il Coin, con nella parte interrata un supermercato alimentare, lo Stella e le costruzioni, ancora nuove, furono abbattute.

Il Bepo si ritirò in pensione e sulla piazza rimase solo sua moglie a vendere limoni.

Un tempo era finito, ma non ne ho avuto modo di accorgermene allora perché anche per me quel tempo era terminato. Mi ero diplomato, avevo iniziato a lavorare a Bollate al Laboratorio di Ricerche e, alla sera, qualche volta, frequentavo l’Università a Milano. La mia vita era cambiata completamente e quella routine non mi apparteneva più”.

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