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I racconti del novecento

Ma dove è finita Via Gavazzeni?

Tra i ricordi dei primi anni ’60, tra cui il primo grande sciopero studentesco del 1961, e l’evoluzione della Città e della piana a sud dello scalo ferroviario

Di Giovanni Gelmini

            Questo articolo è stato preparato in origine per Esperia 2019 l'Annuario dell'Associazione degli Ex Allievi dell’ITS Pietro Paleocapa, per questa edizione ho apportato alcune modifiche

Apro una guida di Bergamo del 1910 e incomincio a sfogliarla; interessante! C’è uno stradario; come era allora Bergamo? Cerco le vie che hanno fatto la mia vita a Bergamo; ne cerco una che per cinque anni ho percorso più volte al giorno, via Gavazzeni. Ma dove è finita? Non c’è!

I ricordi passano velocemente nella mente: il lungo serpentone di compagni al mattino, a mezzogiorno e al pomeriggio; più sgranato per le entrate al mattino, con gli ultimi che acceleravano il passo per non restare chiusi fuori dal portone da Berto, il bidello portinaio; compatto alle ore di uscita, con gruppi di compagni che chiacchieravano.
Si percorreva il largo marciapiede, che forse era la vecchia sede del tram, il N°9 Esperia.
Un ricordo di quando ero bambino, un tram pieno zeppo di giovani e mia madre che me lo indica: “Sono gli studenti dell’Esperia”, ma ai miei tempi il tram era stato sostituito da bus e ricordo la partenza dall’Esperia: un certo numero di autobus ci aspettava, primo autobus era il primo a partire; appena pieno, l’autista chiudeva le porte e partiva, ma fatti pochi metri frenata brusca, la massa degli studenti veniva compattata in avanti, così riapriva le porte e potevano salire altri studenti e via verso la città. Così anche per gli altri ovviamente.

Per i nostri viaggi quotidiani non si usava solo l’autobus, anzi, oltre al serpentone di studenti a piedi, le biciclette erano tante, pochissimi motorini e, perlomeno per i miei anni, una sola auto: la cinquecento di Borghi, un nostro compagno chimico arrivato da Monza.

Quando uscivo alla sera d’inverno, mi incamminavo lungo il muraglione grigio che separava la strada dallo scalo ferroviario, con la luce fioca che scendeva da una lampada con il piattello arrugginito in cima ai lunghi pali di legno anneriti dal tempo; mi sembrava di essere in un quadro di Sironi della periferia di Milano. Passo sostenuto per riscaldarmi dal freddo e arrivare in tempo all’appuntamento con una ragazza o per raggiungere il Sentierone, dove incontrare gli altri amici.

La mente corre veloce fra tanti frammenti e si arriva a quello che credo sia il più significativo: il lungo sciopero dell’ottobre 1961.

Ai nostri tempi (è brutto, ma permettetemelo) non si facevano occupazioni. Per tradizione si faceva uno sciopero una volta all’anno, in genere per un motivo patriottico; si faceva il blocco ai cancelli dell’Esperia e poi si partiva in corteo, verso la Torre dei Caduti, dove il Professore Gerardi teneva un bel discorso, ovviamente applaudito da tutti; poi qualcuno se ne andava per i fatti suoi, altri invece, a gruppetti, si avviavano verso Città Alta a godersi la mezza giornata di vacanza.

Qualcosa di molto diverso avvenne i primi di ottobre del 1961.

Il 30 settembre, a scuola già avviata, arrivò la Riforma Bosco della Scuola Superiore, che stravolgeva la struttura dei corsi. Tanto per darvi l’idea Geografia Economica, di cui avevo già acquistato il libro, non c’era più, ma c’erano nuove materie come Chimico Fisica, di cui mi sono innamorato, ma il cui il libro, il Bertorelle, non era più pubblicato da anni. Una gran confusione. I professori non sapevano più cosa fare e figuriamoci noi.

Sciopero, venne proclamato!

L’organizzazione dello sciopero era compito delle quarte, quelli di quinta dovevano pensare agli Esami di Stato che li attendevano alla fine dell’anno; così mi ritrovai in una riunione, forse nella sede di Gioventù Studentesca, a sentimi dire come e cosa fare. Facevo parte del gruppo che doveva fermare gli autobus.

Il sistema era semplice, ci si preparava al di là del sottopasso della ferrovia, dove gli autobus dovevano passare piano e, prima che potessero riprendere velocità, mettevamo un certo numero di biciclette per terra, così si dovevano fermare e aprire le porte per far scendere gli studenti.
 

Dopo la protesta, studenti alla Rocca, Foto Giovani Gelmini, 1961

Finita quella fase si poteva così formare il corteo e via per via Bonomelli, Viale Roma e poi dritto verso il Provveditorato a protestare e dopo consueta la meritata “vacanza” in Città Alta.

Questa volta a noi si unirono anche le altre scuole e perfino le ragazze delle Magistrali e delle scuole delle suore che ci invitarono a fare i picchetti da loro.

Un’agitazione che durò ben una settimana, cosa mai successa.

La riforma Bosco fu di certo una buona riforma, solo arrivata fuori tempo. È quella che ha permesso a tanti di noi di proseguire gli studi all’Università. Certo se Garattini avesse avuto la possibilità che abbiamo avuto noi, sarebbe stato contento.

Lasciamo correre i ricordi e passiamo al fatto che nel 1910 la Via Gavazzeni non c’era, cosa ovvia; nomi e struttura viaria si è profondamente modificata nel tempo.

Per capire meglio cosa è successo mi piace partire da lontano, da quando c’era ancora la Repubblica Veneta.

La Città Bassa era racchiusa tra le Muraine, che non sono come qualcuno crede un muricciolo ad esclusivo uso daziario, ma una vera e propria difesa con mura alte sei metri, spesse un metro con torrette e con un camminamento al culmine del muro. Furono realizzate prima dell’arrivo di Venezia e la Repubblica Veneta diede loro una struttura sicura sistemando le parti carenti.

Due erano in borghi entro le mura:
  • San Leonardo: Sant’Alessandro, Piazza Pontida (allora Piazza della Legna), Broseta (da Piazza Pontida a via Lapacano), via XX Settembre (già via Prato), Via Moroni (già via Osio) fino alla porta ancora esistente nel rifacimento ottocentesco), via San Bernardino (fino all’omonima porta ancora esistente nel rifacimento ottocentesco), via Zambonate (già via S. Defendente) e via Quarenghi (già via Cologno):
  • Sant’Antonio: Via Pignolo (già via S. Giovanni dell'Ospedale e via S. Antonio), Sant’Tommaso, Via Tasso (già via San Bartolomeo).

Al centro, tra San Leonardo e Sant'Antonio c'era infine il Prato di Sant'Alessandro, con la Fiera e l'Ospedale

Fuori dalle mura c’erano due soli borghi: Borgo Santa Caterina e Borgo Palazzo, alcuni gruppi di case come Loreto e Longuelo e case sparse; poi c’erano i comuni autonomi (Valtesse, Redona, Campagnola, Colognola, Grumello) che furono accorpati a Bergamo nel 1926.


Quindi, se escludiamo quelle aree urbanizzate c’erano solo campi coltivati, irrigati dalle numerosissime rogge, e così era anche per l’area in cui si è insediata l’Esperia.
La situazione fu così per secoli e nell’ottocento possiamo annotare solo due modifiche essenziali: all’inizio dell’ottocento la realizzazione di tre cimiteri, quello di Santa Lucia o Cimitero Vecchio (era dove poi ci fu fino a pochi anni fa il piazzale dell’Enel tra Via Mazzini, Via Nullo e via Diaz), il Cimitero di San Giorgio (dove oggi c’è il piazzale della Malpensata) e il cimitero di San Maurizio oggi inglobato nel Cimitero nuovo, dove oggi sorge la Tempio di Ognissanti. Infine, c’era un quarto cimitero era in comproprietà con il comune di Valtesse e serviva Città Alta. (vedi Mappa del Botta)

Per la zona del Conventino, dove trovò sede l’Esperia, solo la costruzione della Ferrovia nell’800 (la stazione di Bergamo venne inaugurata il 12 ottobre 1857) ha portato piccole modifiche alla struttura viaria esistente.

Storicamente troviamo una strada, la via Conventino, che dalla via Malpensata arriva a Borgo Palazzo, di fronte alla Via Serassi (già Via San Maurizio), una via quasi dritta che scherzosamente chiamo la direttissima dei cimiteri, visto che congiungeva i due cimiteri di Bergamo.

C’era anche una strada che, seguendo le rogge esistenti, collegava il Conventino alla via Taramelli (allora Via Macello) che, con la costruzione della ferrovia, scomparve, null’altro cambiò. La via Conventino prosegui ad essere dritta verso Borgo Palazzo, superando i binari ferroviari probabilmente con un passaggio a livello.


Il primo cambiamento significativo dell’area lo abbiamo nel 1905 quando la SAL, acronimo di Società Automobili Lombarda, acquisì il lotto evidenziato nella cartina e lì vi costruì il suo stabilimento per produrre le Vetture Esperia.

Questo stabilimento venne acquistato dell’Ente Scuole Industriali di Bergamo nel 1917 e così nel 1919 tutte le classi sparse in vari istituti di Bergamo poterono trovare una sede unica e adeguata alla messa a disposizione dei macchinari e delle attrezzature, necessaria ad un insegnamento di qualità.

Dobbiamo arrivare a quando venne allargato lo scalo merci per trovare la situazione della via come la conosciamo oggi, con la strada che piega verso sud dopo l’Esperia e sale verso il sovrappasso della ferrovia. Non sono ancora riuscito a determinare la data di questo cambiamento ma è compresa tra il 1921 e il 1929.

Nel sito web della Humanitas Gavazzeni: “Nei primi anni ’20 Silvio Gavazzeni acquista una grande area a sud-est della città. La proprietà comprende terreni, un parco e la grande villa Sottocasa, realizzata agli inizi dell’800 su progetto dell’architetto Simone Elia. Nasce così Villa Quies come una dipendenza della Clinica e destinata alla convalescenza. Durante gli anni ’30 la Clinica e l’Istituto vengono trasferiti nei nuovi edifici accanto a Villa Quies.”

Ultima notizia storica: nella “Guida di Bergamo e provincia”, 1938, Casa di Pubblicità Santifaller, troviamo finalmente citata la via Mauro Gavazzeni.

Per la storia di Bergamo vedi anche:

La ragazza delle caldarroste ovvero, a Bergamo cosa c’era prima del Coin?
Un po’ di storia della città tra i ricordi di fiori, giornali, angurie e caldarroste


Il primo supermercato di Bergamo
Il primo supermercato di Bergamo. Guardando una foto del Fondo Lucchetti conservato al Museo Della Fotografia di Bergamo


Le Muraine di Bergamo, una storia poco conosciuta che attraversa un millennio
Per conoscere la storia di questa cinta muraria,che oggi sembra scomparsa, si deve risalire al XII secolo


Cosa resta delle Muraine di Bergamo? Oltre a numerosi ruderi sbocconcellati, c’è ancora molto
Lungo tutto il tracciato delle Muraine troviamo resti della antica difesa, ma oltre a questo sono rimaste tracce di vita che pervadono ancora oggi Bergamo. Difficile cancellare secoli e secoli di storia


Bergamo: il mistero della Cappella della Peste e le Muraine
La Cappella della Peste di Via Palma il Vecchio, una testimonianza antica. Ma non era troppo vicina alla cinta daziaria di Bergamo, chiamata Muraine? Dove passavano le Muraine attorno al Borgo di San Leonardo? La Cappella è stata spostata quando negli anni ’80 sono stati abbattuti i complessi industriali Zopfi e Arti Grafiche e realizzato il complesso del “Triangolo”?
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Breve storia del Castello di San Vigilio, detto anche Cappella, e della Bàstia
Tratto quasi integralmente da un libricino di Angelo Mazzi, pubblicato a Bergamo nel 1913
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Argomenti:   #bergamo ,        #esperia ,        #sciopero ,        #studenti ,        #urbanistica ,        #via conventino ,        #via gavazzeni



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